Yemen: dalla rivolta popolare alla guerra per procura (encore)
Scritto dainfosu 21 Gennaio 2015
Ormai non si parla che di golpe, tra le strade di Sana’a, al Palazzo di Vetro, sui media arabi e internazionali. Lo Yemen, dal 2012 in piena guerra civile, è giunto ad un punto di svolta, dopo la presa da parte dei ribelli Houthi del centro simbolico del potere statale, il palazzo presidenziale. Stamattina uomini armati appartenenti alle milizie Houthi, giunti a bordo di veicoli militari, hanno assunto il controllo definitivo dell’edificio e della residenza del presidente Hadi (che si troverebbe ancora nel palazzo), sostituendo le guardie presidenziali.
Dopo aver lanciato missili contro il palazzo e averlo occupato nella giornata di ieri, la tregua siglata lunedì è evaporata. L’escalation è iniziata sabato, quando gli Houthi hanno rapito il capo del gabinetto presidenziale, Ahmed Awad bin Mubarak, come forma di protesta e pressione per quella che ritengono un’esclusione dal processo decisionale. Lunedì è stato il giorno più caldo: negli scontri scoppiati tra miliziani sciiti e esercito governativo, nove persone sono rimaste uccise, una cinquantina i feriti. Gli Houthi hanno assunto il controllo della sede della tv di Stato e istituito checkpoint intorno ai palazzi del potere.
Immediata è giunta la condanna delle Nazioni Unite: il segretario generale Ban Ki-moon si è detto estremamente preoccupato e il Consiglio di Sicurezza ha ripetuto che il presidente Hadi ha “l’autorità legittima” a governare il paese e ha chiesto a tutte le parti coinvolte di appoggiare l’esecutivo per “garantire stabilità e sicurezza”. Una stabilità che lo Yemen non vive da tre anni, dal rovesciamento del dittatore Saleh, i cui fedelissimi oggi sostengono la sollevazione degli sciiti Houthi. I tentativi di negoziazione messi in piedi dall’Onu, tra cui l’Accordo di Partnership nazionale e l’avvio di una Conferenza Nazionale, sono falliti.
Dietro, come accade in ogni altro scenario o fronte mediorientale, sta il confronto tra Iran e Arabia Saudita, tra asse sciita e asse sunnita. Riyadh ritiene Teheran responsabile dell’armamento e dell’avanzata Houthi nel paese, Teheran a sua volta accusa Riyadh di aver sempre gestito la strutturazione del potere in Yemen e, insieme agli Stati Uniti, di utilizzare il piccolo Stato per realizzare la propria agenda economica e politica nella regione. A pagarne le spese è la popolazione civile, la cui sollevazione contro il dittatore Saleh non ha portato ad alcun miglioramento delle condizioni di vita: la metà del popolo yemenita vive sotto la soglia di povertà e nessuna politica di ridistribuzione delle ricchezze generate dall’esportazione di greggio è mai stata implementata. Un’altra storia di rivolta popolare che sembra terminare con la ristrutturazione di vecchi assetti di potere o l’edificazione di nuovi. Ma consideriamo, come giustamente conclude la nostra interlocutrice, il processo avviato con le rivolte in Tunisia come un processwo di lungo termine i cui esiti non ci sono noti.