L’azzardo indiano: demonetizzare un’economia di sussistenza

Scritto dasu 20 Gennaio 2017

Lo scorso 8 novembre più di un miliardo di cittadini indiani ha ricevuto un’amara sorpresa quando il primo ministro Narendra Modi ha annunciato con un messaggio alla nazione la demonetizzazione  delle rupie, diventate dal giorno alla notte «nient’altro che carta straccia». L’improvvisa e insolita decisione del governo, ufficialmente intesa a combatere corruzione e denaro sporco e denaro “sporco”, ha eliminato definitivamente le banconote da 500 e 1000 rupie (corrispondenti a poco meno di 7 e 14 euro, i tagli di maggior valore in un paese povero come l’India). La scadenza era fine dicembre; e già questo ci aveva indotto ad approfondire l’argomento per scoprire in che modo fosse finito questo autentico bagno di sangue, poiché le prime conseguenze, oltre alla lunghe file davanti alle banche per adeguarsi, furono dificoltà enormi per i poveri, i contadini di piccole realtà rurali, piccoli e medi esercizi commerciali, tutta quell’economia precaria, priva di carte di credito e anche solo senza un conto corrente in banche (spesso distanti chilometri), che è l’ossatura di una federazione come quella indiana dove l’85 per cento della ricchezza è detenuta da uno scarso 10 per cento di popolazione.

Il premier nazionalista ha poi considerato un successo l’effetto sulle forme di finanziamento dei gruppi insorgenti, come l’irredentismo del Kashmir, o l’insurrezione armata dei maoisti, ma anche questo sbandierato successo è privo di effettivi riscontri, e anche questo ci incuriosiva poterlo analizzare con qualcuno esperto del mondo indiano, che vive e interpreta quella vita quotidiana e ne scrive senza dietrologie come invece ci è capitato di leggere di un’ipotesi che vedeva Visa e Mastercard tra le lobbies che possono aver ispirato Modi.

Un altro aspetto denunciato da Modi era l’intento di ammodernare il paese. Il tutto, pagando un prezzo salato sulla pelle di centinaia di milioni di indiani della lower class che oggi fanno i conti con stipendi non pagati, lavori occasionali saltati, produzione agricola severamente danneggiata (niente soldi per comprare semi, raccolto della prossima stagione perso) e difficoltà di accesso al credito contante che si traducono in contrazione dei consumi, fino alla fame.

Questi aspetti più strettamente monetaristi s’intrecciano con quelli finanziari, ammantati di intolleranza tra caste, con episodi che si fanno sempre più frequenti di violenze, che diventano pretesto per rivendicazioni di appartenenza, più che di ribellione alla violenza di genere, dietro cui si nascondono spesso in realtà tendenze politiche di estrema destra.

Per riuscire a orientarci in mezzo a questi fenomeni di difficile lettura abbiamo chiesto un parere informato a Matteo Miavaldi, giornalista e studioso di Estremo Oriente, trovando sorprendenti spiegazioni. E siamo arrivati a parlare di maratha e dalit, tornando poi a chiederci perché sia stata messa in opera una manovra così faticosa e con simili costi sociali, prima ancora che economici.

Demonetizzazioneindia


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