Consumo di luogo. La nuova legge urbanistica dell’Emilia Romagna

Scritto dasu 25 Luglio 2017

Il progetto di legge regionale che intende abolire l’urbanistica in Emilia-Romagna è propagandato con quattro slogan. Nessuno è vero: non c’è risparmio di suolo, non c’è qualificazione urbana, non c’è semplificazione, non si riduce il rischio di infiltrazioni dell’ndragheta.

 

C’è invece libertà assoluta data alle iniziative immobiliari per nuovi insediamenti nel territorio rurale o di rigenerazione urbana, vietando la possibilità stessa di una cogente disciplina urbanistica preventiva e sottraendo meticolosamente ai comuni ogni potere e strumento per governarli. Per i normali cittadini e attività produttive ci sono le solite vecchie fruste regole.
L’interesse pubblico alla qualità e funzionalità del territorio è ignorato, e ogni attenzione è dedicata a disporre le condizioni di maggior vantaggio per la rendita fondiaria nelle realtà urbane maggiori.

 

Ne abbiamo parlato con l’architetto Ruini, in prima fila nella denuncia e nella lotta contro il nuovo piano.

 

Ascolta la diretta:

 

2017 07 25 emilia piano reg ruini

 

Di seguito una breve scheda che riassume le questioni in ballo

 

 

Non c’è risparmio di suolo
Secondo la giunta regionale, limitando al tre per cento il possibile ampliamento urbano, i 250 chilometri quadrati di espansioni urbanistiche oggi già possibili si ridurrebbero a 70.
Non è così. Ai proprietari di quei 250 chilometri quadrati sarebbero concessi cinque anni per metterne perpetuamente al sicuro la classificazione urbanistica, stipulando accordi operativi a cui i comuni non avrebbero reale possibilità di sottrarsi né interesse a farlo.

Il vantato limite del tre per cento all’incremento del territorio urbano sarebbe quindi aggiuntivo alle espansioni urbanistiche già vigenti e confermabili, e comunque elevato in sé: con un incremento del tre per cento le città di Ferrara, Modena, Parma, Ravenna, Reggio crescerebbero ciascuna di due chilometri quadrati, sufficienti ad accogliervi altri ventimila abitanti.

 

Non c’è qualificazione urbana

Gli interventi di riuso e rigenerazione nel territorio urbanizzato sarebbero interamente ed esclusivamente rimessi all’ iniziativa delle proprietà, che sola avrebbe titolo per sviluppare progetti del tutto arbitrari in quanto esenti da qualsiasi limitazione o regola preventiva su volume, superficie utile, morfologia, uso, dotazioni e geometria; in deroga agli standard nazionali e locali in materia di verde, servizi pubblici e parcheggi; in deroga alle norme nazionali e locali in materia di densità edilizia, altezze e distanze dagli altri fabbricati, e senza alcun obbligo di valutare la sostenibilità ambientale e territoriale di quanto progettato.

La regolazione di questi interventi avverrebbe esclusivamente mediante accordi operativi su progetti urbani che i comuni non avrebbero modo di respingere né modificare, perché accuratamente esautorati da qualsiasi effettivo potere.

Nulla impedisce che interventi concepiti in queste condizioni producano selvaggi aumenti di volumi, indifferenti all’impatto prodotto sulla circolazione e sui servizi, privi di dotazioni essenziali e anzi congestivi e parassitari sul contesto urbano. Le parti più sofferenti delle città esigono politiche di diradamento, non di quell’addensamento che appare l’unico intento e la sola prospettiva della proposta di legge.Per questa via non si arriva alla qualificazione della città esistente, ma al suo contrario.

 

Non c’è semplificazione

Qualsiasi modificazione anche minima del proposto nuovo piano urbanistico generale (PUG), e addirittura la formazione e modificazione di piani urbanistici attuativi si troverebbero assoggettate al medesimo procedimento previsto per la formazione del PUG stesso, del piano regionale e dei piani territoriali di area vasta e regionale. Gli effetti per la normale attività dei comuni sarebbero paralizzanti.

Per la formazione di accordi operativi di iniziativa privata il progetto di legge prevede invece un iter sostanzialmente snellito e accelerato rispetto agli strumenti urbanistici pubblici.

 

Il divieto di regolare preventivamente mediante i piani urbanistici i più importanti interventi di rigenerazione urbana e di nuova urbanizzazione, demandando alla negoziazione il compito di definirne contenuti di grande entità economica, introduce la massima discrezionalità nella politica e nell’amministrazione dell’urbanistica, già in sé delicate, con effetti potenzialmente criminogeni. Il rischio di devianze ne è acuito, il pericolo di inserimenti della malavita organizzata altrettanto.

 

Il progetto di legge risponde pienamente alla casistica completa delle posizioni di interesse immobiliare e dei modi in cui può essere perseguito il loro maggior vantaggio:

  • le espansioni urbane già previste verrebbero poste irreversibilmente al sicuro, attraverso accordi che i comuni non avrebbero reale possibilità di negare, né di revocare;
  • gli interventi di riuso e rigenerazione nel territorio urbanizzato verrebbero sottratti a qualsiasi limitazione cogente di origine nazionale o locale, e interamente rimessi all’arbitrio delle iniziative immobiliari;
  • un qualsiasi pezzo di campagna non attiguo all’autostrada, né esondabile né in frana sarebbe liberamente utilizzabile per trasferirvi dagli interventi di rigenerazione urbana l’edificabilità non convenientemente utilizzabile sul posto (premialità varie comprese); oppure per attuarvi imprecisati programmi di edilizia residenziale sociale, comunque apportatori di rendita e utili per negoziare altri vantaggi.Ne consegue che i nobili obiettivi del risparmio di suolo e della qualificazione del territorio urbano siano mistificati e asserviti a interessi puramente speculativi. Per fermare lo spreco di suolo e qualificare il territorio, in particolare quello urbano, servono rinnovate politiche, di cui i comuni siano attori principali, nel quadro di solidi riferimenti del piano territoriale regionale e dei piani di area vasta. 

    Preoccupa gravemente che questa proposta sia l’avanguardia di un tentativo di sovvertire la legislazione urbanistica nazionale dal basso, attraverso la proliferazione di leggi regionali che la contraddicono.


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