Maharashtra: la lunga marcia contadina

Scritto dasu 19 Marzo 2018

Imponente, come ogni avvenimento nel subcontinente indiano, e sorprendente per il carattere pacifico, fatto piuttosto raro per le dimostrazioni di protesta in India, si è svolta la scorsa settimana una lunga marcia di 6 giorni a piedi nudi lungo 180 chilometri nella regione del Maharashtra, partecipata da una marea di cinquantamila (ma alcuni hanno parlato di un numero doppio) contadini confluiti su Mumbai, convocati da Akhil Bharatiya Kisan Sabha, il collettivo di contadini affiliato al Partito comunista indiano. A parte il disinteresse dei media italiani per la Kisan Long March, questa massa che rappresenta un’enorme fetta della popolazione attiva indiana al di fuori del caos urbano, oltre a contare sull asolidarietà locale, ha bucato gli schermi di mezzo mondo, anche perché si tratta della prima dirompente protesta contro lo strapotere del leader nazionalista Narendra Modi.

Per questo motivo risulta interessante approfondire i motivi che hanno spinto il mondo rurale a invadere pacificamente la popolosa capitale economica per mostrare la propria difficoltà a sostenere le riforme modernizzatrici del governo centrale in materia economica (negli ultimi anni l’incidenza dei suicidi tra gli agricoltori è stata davvero elevata, in particolare dopo la demonetizzazione di qualche mese fa), mentre le tecnologie di coltivazione sono rimaste molto arretrate. A questo scopo abbiamo pensato che tornasse utile porre la questione all’unico estensore di un articolo comparso al proposito nel panorama italiano, e questa è stata l’occasione per Matteo Miavaldi di dischiuderci una serie di panorami relativi alla situazione indiana, passando dal dettaglio dell’evento alla realtà generale nella prospettiva elettorale del 2019, che vedrà la probabile conferma dello strapotere del corrotto Bjp, che va incarnando il sistema India in assenza di valide alternative e sull’onda del populismo nazionalista hindu. Anche se localmente alleanze, come quella che si è affermata nelel elezioni supplettive di questo mese in Uthar Pradesh (lo stato più popoloso), potrebbero battere l’islamofobo premier.

Le richieste riguardano essenzialmente la cancellazione dei debiti degli agricoltori colpiti da eventi climatici siccitosi, la possibilità di accedere alla proprietà delle terre (attualmente i campi sono molto piccoli per ciascun coltivatore, spesso braccianti non proprietari, e questo impedisce economie di scala che consentano la sopravvivenza e l’accesso al credito), l’deguamento del sistema di irrigazione e l’aumento del prezzo dei prodotti agricoli (ora a chi lavora la terra rimane il 10% del prezzo al consumo), ma sullo sfondo si intravede la delusione per le promesse del 2014, al momento dell’avvento di Modi al potere, che nel comparto agricolo sono state disattese; anzi, il mondo contadino – che rappresenta il 50-70% delle famiglie indiane – ha subito vari provvedimenti che hanno affossato il potere d’acquisto degli addetti di un settore ora ridotto al 17% del pil (ma nel 1970 rappresentava la metà dei profitti del Paese), che è il settore di maggiore instabilità per la nazione con le previsioni di sviluppo maggiore per il 2018.

 

In coda all’intervento abbiamo chiesto a Matteo qualche informazione in più rispetto alla condizione dei Rohingya e se ci fosse stato realmente qualche cambiamento rispetto alla repressione e al rientro dal Bangla Desh dopo la trattativa e gli accordi con il Myanmar… ma il rapporto di Amnesty non lascia spazio all’ottimismo.

India: marce contadine e potere nazionalista; epurazione roinghya

 


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