Algeria: dissenso interno e deportazioni di massa

Scritto dasu 28 Maggio 2018

Da diversi mesi l’Algeria è scossa da scioperi e proteste che investono il settore educativo, quello sanitario e dei trasporti, ma non solo. Il governo di Ahmed Ouyahia da una parte reprime il dissenso interno tanto da riuscire a limitare la presenza in strada di manifestanti, dall’altra distrae l’opinione pubblica con la propaganda dell’insicurezza e dell’invasione di clandestini indicati come causa prima della disoccupazione nel Paese.

Legittimata da tale propaganda la polizia rastrella nelle maggiori città “les black”, per rinchiuderli e successivamente deportarli ai margini del desero dove vengono lasciati senza cibo nè acqua.

Le autorità algerine ripetono che queste espulsioni avvengono “in concertazione con i governi dei paesi coinvolti”, ma si tratta di una pura menzogna. A parte il programma “di rimpatrio volontario” firmato con l’OIM, organismo che si rende complice di tutte quelle violenze che le autorità algerine mettono in atto per spingere le persone a firmare la richiesta di rimpatrio, la Lega dei diritti umani algerina sottolinea che ad ora esiste solo un accordo “opaco” con il Niger concernente prima di tutto donne e bambini. Del resto la stampa locale accenna ad accordi sotterranei con i paesi europei ma nessuno ne parla in maniera ufficiale.

Di fronte agli abusi subiti nei campi di detenzione e nelle fasi dell’espulsione è cresciuta la rabbia tra i deportati tanto che in Mali a marzo diverse centinaia di persone, tra le quali molte che recentemente avevano subito la deportazione dall’Algeria, hanno manifestato davanti all’ambasciata algerina a Bamako, tentandone l’assalto.

Ne abbiamo parlato con Karim Metref.

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