Migranti a Lesvos: vite in sospeso nei campi-lager

Scritto dasu 30 Gennaio 2020

Da un lato spiagge, bar e ristoranti per turisti, dall’altra una tendopoli sterminata. In Grecia, sull’isola di Lesvos, che conta 86.400 abitanti, il campo profughi di Moria è praticamente una città: 20.000 persone vivono stipate in un lager che ha una capienza massima di 3.000. Analoga situazione a Samo, Chio ed altre isole greche nel Mar Egeo, dove sono costrette a vivere in sospeso – tra filo spinato, rastrellamenti, emergenza sanitaria e sofferenza psichica – migliaia di persone che vogliono essere libere di muoversi ed entrare in Europa. E’ di poche settimane fa, il 6 gennaio, la notizia di un’ennesima morte di stato: un uomo di 31 anni è stato trovato impiccato in una cella all’interno del Centro di detenzione preventiva (PRO.KE.K.A.), la prigione che si trova all’interno del campo di Moria.

Nel corso degli anni le persone migranti e solidali non sono certo rimaste passive di fronte a questa condizione di violenza strutturale, ma alle ripetute proteste e mobilitazioni sono seguite strette sempre più repressive da parte dello stato greco. L’ultima trovata del governo conservatore è quella di un muro sull’acqua, ovvero una barriera galleggiante di 2,7 km nell’Egeo orientale per respingere gli sbarchi, che costerà mezzo milione di Euro. A queste misure eclatanti se ne affiancano altre che vanno a colpire la vita dei migranti nel quotidiano, come la revoca, dal luglio 2019, dell’accesso all’assistenza sanitaria pubblica ai richiedenti asilo ed alle persone senza documenti che arrivano in Grecia, così che oltre 55.000 uomini, donne e bambini sono lasciati senza possibilità di cura.

Ascolta la diretta con Riccardo, da Lesvos:

 

 


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