Facendo la tara delle trasformazioni ventennali del Myanmar
Scritto dainfosu 8 Febbraio 2020
Della vecchia Birmania, usando il lemma dell’impero britannico, si parla poco e ancora meno degli intrecci di interessi – cinesi, in particolare, con gli investimenti recentissimi e il golfo colmo di idrocarburi e gas – e di collocazione strategica per i percorsi di merci; un po’ si è discusso dell’accanimento – spiegato in Occidente con dispute religiose tra buddisti radicali e povere genti musulmane – contro una delle etnie che compongono la nazione, forse spiegabile con il fatto che se si desse la nazionalità ai Rohingya non sarebbero distinguibili da bengalesi e il timore della giunta è il solito: l’invasione di migranti. Ma quasi nulla si conosce dello sviluppo degli ultimi due decenni e delle relazioni strategiche geopolitiche nell’area dopo la fine del colonialismo britannico, a cui ha alluso Aung San Suu Kyi all’Onu, allusione non riportata dai media nostrani.
Washington, 05 feb 16:00 – (Agenzia Nova) – Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha discusso ieri l’ordine della Corte di giustizia internazionale al Myanmar per prevenire un genocidio ai danni dei musulmani rohingya, ma non è riuscito a raggiungere un accordo per una dichiarazione congiunta. La Cina, alleato di Naypyidaw, e il Vietnam, che regge la presidenza di turno del Consiglio di sicurezza, e come il Myanmar è membro dell’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico (Asean), hanno obiettato alla linea promossa dai membri europei del Consiglio, secondo cui le misure ordinate al Myanmar dalla Corte di giustizia internazionale sono “vincolanti ai sensi del diritto internazionale”. Francia, Germania, Belgio, Estonia e Polonia hanno anche sollecitato Naypyidaw ad “intraprendere azioni credibili per assicurare alla giustizia i responsabili delle violazioni dei diritti umani” ai danni dei rohingya.
Questa è la stringata agenzia che ci ha spinti a cercare di capire in quale contesto birmano vada inserita questa ambiguità reticente, la denuncia mediatica del genocidio e del landgrabbing a cui poi non fa seguito nulla; l’intervento di Aung San Suu Kyi alle Nazioni Unite, su convocazione del Gambia, e dei paesi musulmani che rappresenta, chiamò in correità il colonialismo occidentale, ma questo passo del discorso non è stato riportato, come non si conoscono le proteste contro le dighe volute da Xi Jing Ping, o le numerose comunità molto diverse che compongono la nazione birmana.
Difficile trovare qualcuno che segua da molti anni l’evoluzione di quella nazione e conosca i passaggi storici, mantenendo un distacco sufficiente per aggirare i luoghi comuni: sia quelli che volevano la presidente come impeccabile eroina della lotta contro i militari, sia le accuse di aver tradito, difendendo i militari. Max Morello è vicino a questo identikit: