Interessi Usa nella Colombia alla fame: fracking e fumigazioni

Scritto dasu 18 Aprile 2020

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Un articolo comparso su “La Bottega del Barbieri” a firma di David Lifodi ha avuto il merito di risvegliarci l’interesse per gli eventi colombiani che avevamo trascurato negli ultimi tempi di pandemia, perché il paese è scomparso dall’attenzione internazionale. Ci ha incuriosito già la sintesi dell’articolo che comprendeva sia la ripresa delle fumigazioni di glifosato (prodotto della statunitense Monsanto) – con l’apporto fondamentale dei paramilitari, il cui rapporto con le imprese colombiane veniva evidenziato nell’incipit dell’articolo –, sia l’importanza della presenza delle squadracce assassine per “ripulire” intere zone destinate all’estrazione attraverso fracking sotto la lente della Ecopetrol, organica al Bloque Catatumbo, che opera nella zona a ridosso di quella frontiera con il Venezuela che in questo periodo migliaia di emigrati venezuelani riattraversano, perché non sono in condizione di resistere per strada all’epidemia da covid19, giunta anche a queste latitudini.

Oltre agli omicidi di militanti che ormai perdurano da quando i trattati con le Farc sono stati stracciati dal governo di Duque e persino sbandierati dai media collusi con i paramilitari al soldo del capitale internazionale, risultava interessante il fatto che organizzazioni statunitensi operassero per far entrare armi da destinare proprio a quei paramilitari direttamente utilizzati dalle imprese di estrazione petrolifera e quindi il legame tra le due operazioni nocive sia all’ambiente che alle casse dello stato che alla tenuta della società, diventa palese nell’analisi che ci ha regalato Cristina Vargas, riconducendo la situazione attuale all’incancrenimento di trascorsi e interessi che hanno fatto la storia della Colombia, tornata a un malessere dilagante espresso da cacerolazos improvvisati da intere comunità ridotte alla fame e ora alla mercé dell’epidemia, in un arealtà dove molte persone vivono al dìa, cioè che ottengono la sussistenza con il lavoro giornaliero: se non escono non possono sopravvivere, non possono mangiare, irretiti in sistemi di corruzione e mafia che si sono subito create a fronte della crisi…

Ecco, molti temi sono collegati: attività imprenditoriale, e rete internazionale, che va fatto risalire al conflitto trentennale che finanziava con la droga e il petrolio le milizie paramilitari – dunque una questione non recente, che va tenuta presente anche perché queste milizie in qualche modo dovranno venire alimentate (di qui un primo intreccio con il fracking); l’impatto ambientale è stato ben documentato dalle Università coinvolte in ricerche, e infatti su questo si innesta il problema delle risorse idriche, che coinvolge varie comunità indigene, che abitano il territorio interessato dal fracking – la decisione sul proseguimento del sistema di frantumazione doveva essere presa il 22 aprile, ma il covid ha fatto rinviare ogni sentenza. Collegato a questo discorso troviamo quello che coinvolge la War on Drugs, e anche in questo caso sono disattesi gli accordi con le Farc, che prevedevano la riconversione delle coltivazioni e l’espiantazione e non la fumigazione – che era iniziata prima dell’era Trump; la quarantena ha congelato anche gli interventi sulle coltivazioni, ma quella che non è stato congelata è la repressione militare, con gli omicidi mirati di ex appartenenti alle Farc e di militanti delle resistenze locali e comunitarie con lo scopo di agevolare gli interessi economici neoliberali, che amplifica la vulnerabilità sociale delle comunità più deboli e dei cocaleros.

Che impatto avrà tutto questo su quello che potrà succedere nel paese, dove le mobilitazioni sono diffuse dalla disperazione derivante dalla fame, dalla mancanza di acqua e non solo dalla diffusione del virus?

Ecco cosa ci ha raccontato in proposito Cristina Vargas, antropologa dell’Università di Torino:


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