Onde indopacifiche #02
Scritto dainfosu 21 Dicembre 2020
Per il secondo appuntamento di questo giovedì 17 dicembre 2020 per la rubrica di affari internazionali legati all’indopacifico abbiamo pensato di affrontare un argomento che tornerà sicuramente altre volte e che normalmente sottoponiamo alla decifrazione di africanisti: gli investimenti cinesi in Africa, come si stanno sviluppando e quanto la Bri si va ridimensionando a seguito della crisi pandemica? Gli investimenti sono alternativi e differenziati e ci sono alcuni dubbi sui motivi per cui si rischia così tanto in paesi a rischio, come l’Etiopia attualmente – e quindi emerge il problema dell’uso di milizie a tutela degli investimenti.
E contemporaneamente la Cina cerca di crescere sempre di più e superare le difficoltà attuali aprendo anche il mercato e gli investimenti sul suo territorio: forse sono abbastanza sicuri della propria espansione, tanto da poter aprire i propri confini. Poi ci sono grandi differenze tra rapporti e rapporti commerciali.
Minore stretta agli investimenti stranieri in Cina
Poi la lotta contro la povertà trova espressioni discutibili, quando l’espressione linguistica nasconde lo schiavismo e la repressione della minoranza muslmana uygura nello Xinjiang, costretta a lavori forzati nei campi di cotone e subendo la divisione delle famiglie, a cui vengono sottratti i figli, educati dallo stato in modo alternativo. Inoltre Alibaba avrebbe un nuovo filtro per identificare contenuti che siano di matrice uygura attraverso parametri dedicati a quella discriminante. E qui sorge spontaneo il dubbio relativo ai rapporti tra Erdoğan e Xi, laddove delle genti di origine turcomanna vengono così represse senza che la Turchia intervenga minimamente; questo dischiude un universo di interessi intrecciati, da quelli economici a quelli soprattutto di copertura nel consesso internazionale, quando vanno decise sanzioni.
Campi di cotone per gli uyguri, discriminazione e silenzi turchi
Il sovrapopolamento indiano sovrasta quello cinese e uno dei risultati che ne derivano è quella esplosione di rivolte contadine da un lato e dall’altro le tensioni che sono sfociate nella occupazione dello stabilimento Apple (franchising taiwanese), che si collega alla nozione di “salario percepito”, di nuovo un’espressione linguistica che nasconde sfruttamento e che Sabrina ci ha spiegato qui e che fa ben sperare che vada finendo la politica di salari bassi, che non danno la possibilità di sopravvivere nemmeno in India.A questo si aggiunge la disputa sulle dighe sul Brahmaputra che aggiungono benzina sul fuoco dei contrasti tra Cina e India.
Ribellioni contadine e operaie in India: la nozione di salario percepito
Infine si riprende il pezzo scritto da Sabrina per China Files relativo al problema che sta portando l’industria ittica dei gamberoni all’ecosistema di Giava e di altre isole del Sudest asiatico, in particolare in Thailandia, vicino a Phuket: infatti il disequilibrio sta arrecando problemi anche all’industria turistica: si cerca così di restaurare il patrimonio ecologico e guadagnarci. Incontriamo così i pescatori nomadi moken…
L’industria ittica distrugge le mangrovie del Sudest asiatico