Una corrispondenza da Sarajevo

Scritto dasu 25 Giugno 2021

Nel giorno del trentesimo anniversario dell’inizio della guerra civile jugoslava ci occupiamo dei Balcani: rotta dei migranti, ma anche terreno di conquista e di interesse da parte delle potenze mediterranee, che fanno leva sulla religione, sui traffici d’armi e di droga, sul controllo delle vie di comunicazione e di rifornimento energetico.

La fortezza Europa ha blindato le sue frontiere ormai da anni: la via del mare è pattugliata, i campi di concentramento libici in mano ad aguzzini istruiti da militari italiani, le barchette lasciate affondare con il loro carico di umanità dolente dall’indifferenza delle acque di competenza… i migranti sono usati come masse di richiedenti asilo lasciati filtrare da autocrati che lucrano sulla paura atavica dell’invasione che attanaglia gli europei benestanti.  Si continuano a elargire tranche di miliardi a Erdoğan e a costituire missioni in Africa a contenere il flusso di persone in fuga dalle ruberie e devastazioni dell’Occidente stesso. Il tappo messo a sud, sposta molto del traffico sull’asse balcanico e dopo l’inferno greco (che da tempi omerici chiama “βάρβαρος” chi non è culturalmente ascrivibile alla famiglia… Gli ellenici non sono xenofobi, perché al ξένος era d’obbligo dare ospitalità; non hanno mai riconosciuto come simili tutti quelli che non risalgono alla medesima cultura… e quella è l’eredità della “cultura classica” per tutte le civiltà occidentali.

La condizione umana nei campi di Sarajevo: Ušivak

Un elemento centrale di queste testimonianze – ed è ben evidenziata da Mirka nella sua corrispondenza – è il fatto che la vita ruota solo attorno a un’ossessione: The Game, lo stesso che in questi anni abbiamo documentato da Calais, da Ceuta e Melilla, dal Pireo… i coni d’imbuto delle esistenze che devono passare attraverso quel filtro imposto dal delirio di respingimento.

Il racconto che Ursula e Mirka, di “Torino per Moria”, con cui viene fatto un confronto tra campi profughi, ci hanno descritto di quelli di Sarajevo e dai campi in cui sono contenuti i migranti che provano a ripetizione il passaggio delle frontiere si incentra su tre interviste: a Idriss, gambiano che ha dovuto lasciare il paese perché si è scontrato con i suoi superiori e per trovare il futuro per sé e la famiglia; le aspettative da parte della società di provenienza, le botte e le costrizioni, la meta da raggiungere sono comuni alle depressioni che accomunano quelle di Ali, pakistano ventinovenne e Habib, marocchino… tutti precisi nel tracciare il loro viaggio prima di questo Game – tentato ogni giorno da almeno due dei 1200 ospiti dei campi (e il costo del tentativo supera sempre oltre i 3000€ fino a 5000) – e sciorinano una precisa graduatoria di tollerabilità dei singoli luoghi toccati nel viaggio. Una corsa a tappe durante la quale sono stati sottratti loro tempo ed energie, pur di rallentare una progressione storica che non deve essere di integrazione ma di accoglienza, proprio quello a cui agognano e che occupa i loro pensieri, i corpi feriti, battuti, debilitati.

Ascolta “La condizione umana nei campi di Sarajevo: Ušivak” su Spreaker.


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