Prescrizione. La neolingua giudiziaria

Scritto dasu 14 Luglio 2021

Quando la Corte Costituzionale si è pronunciata contro la riforma Bonafede, perché l’abolizione della prescrizione era lesiva del diritto di tutte le parti in causa ad avere un processo che terminasse in tempi certi, era chiaro che si sarebbe aperta una battaglia nella maggioranza di governo. Nello specifico, chiamata a pronunciarsi sulla sospensione della prescrizione adottata dopo i rinvii determinati dalle norme anticovid, la Consulta ha stabilito che. “Il rispetto del principio di legalità richiede, quindi, che la norma, la quale in ipotesi ampli la durata del termine di prescrizione (art. 157 cod. pen.), ovvero ne preveda il prolungamento come conseguenza dell’applicazione di una regola processuale, sia sufficientemente determinata”. Ed ancora, che il rispetto del principio di legalità esige “la predeterminazione per legge del termine entro il quale sarà possibile l’accertamento nel processo, con carattere di definitività, della responsabilità penale”.
La riforma Cartabia deve ancora passare dal parlamento e le modifiche introdotte vanno al di là della mera questione della prescrizione, ma è certo che su questo punto ci saranno le maggiori frizioni.
Alla fine la soluzione adottata da Cartabia ha un sapore paradossale: viene introdotta una parola nuova che sostituisce quella ormai impronunciabile di “prescrizione”. Ed ecco che nella neolingua giudiziaria è spuntata “l’improcedibilità”. Quando passano due anni dalla sentenza di primo grado e il processo di appello non è stato fatto, scatterebbe l’improcedibilità. Si tornerebbe nei fatti alla riforma Orlando, che già aveva prolungato di tre anni i termini di prescrizione: due in più dopo il primo grado, uno in più dopo il secondo in attesa dell’eventuale ricorso in Cassazione.
In pratica cosa succederà?
Ne abbiamo parlato con un compagno e avvocato, Eugenio Losco

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