Kazakistan. Una rivolta dalle radici profonde

Scritto dasu 11 Gennaio 2022

Nella repubblica caucasica l’anno è cominciato con proteste e lotte operaie e popolari contro l’aumento dei prezzi del gas. Il movimento popolare cominciato nelle regioni Sudoccidentali del paese, in soli quattro giorni, nonostante la rapida retromarcia del governo, si è trasformato in un processo insurrezionale.
La situazione è sfuggita al controllo governativo, sino ad obbligare il Presidente in carica Quasym-Jormat Toquaev a chiedere ed ottenere l’intervento dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (Csto), che non è che il patto di Varsavia nella sua microdeclinazione successiva al crollo dell’Urss. Sono trascorsi esattamente 30 anni dalla sua nascita.
L’intervento armato, l’ordine di sparare a vista, hanno soffocato nel sangue una rivolta, che, diversamente da altre, appare poco affine alle “rivoluzioni” arancioni ed ha sin dal principio connotazioni prevalentemente sociali che hanno investito il regime nel suo complesso.
Questa prima settimana si gennaio, che si sta concludendo con centinaia di morti e migliaia di arresti, non è stata una fiammata potente, imprevedibile ed improvvisa. Da oltre 10 anni in Kazakistan si è sviluppato un movimento sociale radicale, sui temi del salario, dell’orario, delle condizioni di lavoro. Sebbene illegale si è sviluppata una rete di sindacati autorganizzati, con cui il regime è dovuto in più occasioni venire a patti. Le lotte della scorsa estate hanno avuto risultati importanti. In alcuni settori gli aumenti ottenuti sono stati del 100%.
La rivolta di questo primo scorcio di gennaio si è configurata come tassello di un processo di trasformazione sociale sfociato in chiari momenti insurrezionali.
Ne abbiamo parlato con Stefano Capello

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