Cop28. Qualcosa cambia perché tutto resti come prima
Scritto dainfosu 5 Dicembre 2023
La Cop 28 di Dubai, iniziata il 30 novembre, terminerà il 12 dicembre: nessuno si attende risultati reali, ma il rischio è che vengano fatti dei passi indietro.
Gli Emirati Arabi Uniti, che ospitano l’incontro, è uno dei Paesi con le più alte emissioni pro capite di gas serra al mondo.
Il presidente della Cop28 è Sultan Al Jaber, ministro dell’Industria e delle Tecnologie degli Emirati Arabi Uniti nonché amministratore delegato e direttore generale della compagnia petrolifera statale Abu Dhabi National Oil. Come se non bastasse, Sultan Al Jaber è anche un negazionista climatico, nonostante il riscaldamento globale ed i suoi effetti catastrofici siano una realtà con la quale facciamo i conti, anno dopo anno, giorno dopo giorno.
Siamo entrati ormai in una fase di “anormalità climatica permanente”: il 2022 è stato un anno funestato da eventi meteo estremi, con gli otto milioni di sfollati per l’inondazione del Pakistan e la peggiore siccità che ha colpito l’Europa negli ultimi cinquecento anni. Il 2023, secondo l’Organizzazione mondiale della meteorologia, si candida a essere l’anno più caldo mai registrato nella storia.
Il prezzo più alto lo pagano i paesi poveri che, pur responsabili in minima parte del cambiamento climatico, ne subiscono le conseguenze in modo drammatico.
Il primo atto della Cop 28, annunciato con enfasi nella giornata di apertura è stata l’attivazione dello strumento Loss and Damage, istituito nella precedente Cop di Sharm El-Sheik per riparare ai danni che i paesi più poveri subiscono dal cambiamento climatico. Peccato che le cifre annunciate – 420 milioni di dollari – siano ben lontane dal coprire le necessità. Secondo un recentissimo report pubblicato dall’Unep, il Programma ambientale dell’Onu, servirebbero tra i 215 e i 387 miliardi all’anno per consentire ai Paesi più poveri di difendersi dal riscaldamento globale, ossia tra 10 e 18 volte in più di quanto fatto fino a oggi. Un’elemosina.
Un cacciabombardiere F35 costa 80 milioni di dollari: hanno messo sul piatto l’equivalente di otto F35.
Un altro rischio concreto è che la COP, oltre alle rinnovabili, rimetta in campo il nucleare come scelta strategica per ridurre le emissioni di CO2. Inutile dire che il nucleare, sebbene non contribuisca al riscaldamento globale, è una tecnologia pericolosissima perché a rischio di incidenti che potrebbero devastare ampie zone del pianeta. Non solo. Le centrali nucleari richiedono un utilizzo di fonti fossili sia in fase di costruzione che in fase di raffreddamento. Le torri di raffreddamento necessarie al funzionamento delle centrali nucleari necessitano di enormi quantità di acqua: se l’acqua manca per la siccità le centrali dovrebbero rallentare o essere spente, per evitare incidenti terrificanti. Un altro tassello che non si incastra nel puzzle dei nuclearisti.
La realtà è che le varie COP non hanno risolto e non risolveranno nulla. La logica del profitto non arretra di fronte a nulla, neppure alla desertificazione ed alle inondazioni, che muteranno per sempre il volto del pianeta.
Solo l’adozione di tecnologie rinnovabili, decentrate sul territorio, controllabili dal basso, potrà mettere in campo le condizioni per fuoriuscita dal ricatto che le multinazionali dell’energia impongono a noi tutt*.
Ne abbiamo parlato con Marco Tafel, insegnante, ambientalista, contadino.
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