Prigionieri per reati d’opinione in Europa: il caso di Seif

Scritto dasu 20 Maggio 2024

Esprimere una opinione dissonante in Europa, ormai, è terrorismo o istigazione a delinquere. Quando si dice ciò che allo Stato non piace, si rischia il carcere o la deportazione.

In Francia, punta di diamante della rinnovata offensiva liberticida statale,  dilagante contro chi protesta in solidarietà a Gaza è l’utilizzo del reato di “apologia del terrorismo”, che trae le sue origini nel reato di stampa che permise di reprimere il movimento anarchico alla fine del XIX secolo. Venendo all’oggi, in Italia i redattori di alcune pubblicazioni anarchiche – “Croce Nera Anarchica”, “Vetriolo” e “Bezmotivny” – sono sottoposti a procedimenti giudiziari in quanto accusati di responsabilità nella realizzazione di alcune azioni contro strutture e figure dello Stato e del capitale, perché queste azioni si sarebbero sviluppate sulla base dei “principi orientativi” esposti in alcuni articoli, quindi traendo slancio dalla “capacità istigatoria” delle pubblicazioni stesse.

In particolare dopo il 7 ottobre il reato di opinione si è esteso in Europa ben al di là della stampa anarchica, nei confronti di chiunque minacci di inceppare la mobilitazione bellica generale, anche a basse soglie di conflittualità reale.

Emblematico in Italia il caso di Seif, finito nel Cpr di Ponte Galeria. Rifugiato politico dal 2013, per oltre nove anni ha lavorato in un liceo privato di Roma, l’esclusivo Chateaubriand, come educatore. Scosso dal genocidio perpetrato dallo Stato di Israele, ha commentato con rabbia le immagini delle devastazioni a Gaza su una chat privata. La notizia è arrivata agli organi amministrativi del liceo francese, tramite loro all’ambasciata francese e dunque allo Stato italiano che vuole espellerlo dall’Italia revocandogli lo status di rifugiato sulla base dell’art. 604-bis del c.p., che regola il delitto di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa. Oggi non è stata convalidata l’ordinanza di trattenimento a suo carico, ma l’inferno per Seif non è finito e questa vicenda è un precedente che presenta aspetti paradigmatici delle tendenze repressive in atto contro i nemici interni, tanto rispetto al reato comminato e al tentativo di revoca dello status di rifugiato, quanto per lo strumento della detenzione amministrativa utilizzato in maniera sempre più espansiva.

Ne parliamo con una compagna della Cassa di solidarietà la Lima:

 

Rispetto alla convenienza degli strumenti amministrativi per reprimere, non è difficile cogliere analogie – a cambiare sono i documenti che si hanno in tasca – con ciò che si è verificato ad Atene, dove martedì scorso oltre 200 poliziotti hanno attaccato e sgomberato la facoltà di giurisprudenza dove gli universitari avevano piazzato le tende in solidarietà con Gaza. Dopo aver picchiato diversi studenti i poliziotti di Mitsotakis hanno portato 28 giovani nella questura centrale, dove è stata rispolverata una legge dei colonnelli che punisce chiunque si rifiuti di dare le impronte digitali. Gli studenti con i documenti greci sono stati rilasciati mentre nove cittadini europei, tra cui due con documenti italiani, sono stati rinchiusi nel centro di detenzione amministrativa di Amygdaleza per essere deportati.

Ne parliamo con una prigioniera:


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