LA FRAGILE TREGUA DI GAZA

Scritto dasu 20 Gennaio 2025

L’accordo per la tregua in tre fasi a Gaza costituisce una pausa nel  genocidio che lo stato sionista sta pianificando contro il popolo palestinese, un fragile tregua che è poco più di uno scambio di prigionieri. Difatti l’accordo è simile a quello sfumato a maggio scorso, il nuovo elemento è costituito dalla pressione di Trump sul primo ministro israeliano, la cui intransigenza sembra ostacolare i progetti americani di normalizzazione dei rapporti con i paesi arabi moderati. La destra nazi sionista recalcitra, ma potrebbe aver ricevuto assicurazioni sull’annessione della Cisgiordania e l’eventuale riconoscimento da parte americana. La fragilità della tregua è inscritta nella natura dei mediatori principali, gli U.S.A., che non sono terzi bensì parte in causa, avendo sostenuto con tutti i mezzi militari  ed economici l’intento genocida di Israele. Non c’è fiducia fra le parti e niente garantisce che, una volta rilasciati gli ostaggi, non riprenda l’aggressione israeliana.  L’obiettivo israeliano di sradicare Hamas evidentemente non è stato raggiunto, alcuni prigionieri  palestinesi  liberati sono  figure di spicco della Resistenza, come il segretario del Flpl, o Khalida Jarrar, anche se nelle carceri israeliane rimangono migliaia di palestinesi. Molti in detenzione amministrativa, senza accuse formali nè diritto alla difesa, veri e propri ostaggi dello stato sionista. Rimane il problema del ruolo della ANP, che si propone come potenziale gestore dello scenario post guerra e che vive, ancora di più dopo la repressione messa in atto a Jenin, una crisi di credibilità che mette seriamente in discussione la prospettiva dell’unità palestinese.

Ne parliamo  con Bassam Saleh.

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