Bologna, a processo i “fuorilegge” del centro di documentazione Fuoriluogo
Scritto dainfosu 14 Marzo 2013
Il 6 aprile 2011 a Bologna con perquisizioni, 5 arresti e varie misure cautelari prende il via l’operazione Outlaw, un’inchiesta giudiziaria contro 27 compagni e compagne del centro di documentazione anarchico Fuoriluogo che viene messo sotto sequestro e in seguito chiuso.
L’accusa formulata è di “associazione a delinquere con finalità eversiva dell’ordine democratico”, un’impalcatura accusatoria creata sulla base delle indagini portate avanti dalla Digos di Bologna ma che contiene una particolare anomalia: nessun fatto specifico viene contestato agli imputati.
L’operazione repressiva, che parte solo dopo un summit in città tra l’allora ministro degli interni Roberto Maroni, Digos e magistratura, è chiaramente orchestrata da alcuni dei grandi poteri di questo paese.
Non a caso poche settimane dopo, il capo della sicurezza dell’ENI Umberto Saccone in un’intervista sottolineerà come a Bologna e Firenze siano state svolte operazioni di polizia volte a colpire e circoscrivere la presunta area di provenienza di attacchi ad alcune sedi della società.
In questi ultimi due anni di palese instabilità sociale ed economica, lo Stato ha utilizzato lo strumento dei reati associativi per sferrare numerosi attacchi repressivi, con l’evidente intento di stroncare collettivi e percorsi di lotta, di indebolire la rabbia e le voci del dissenso.
Il 15 marzo presso il Tribunale di Bologna ci sarà la prima udienza del primo grado di giudizio, e un presidio di solidarietà nella centralissima piazza Maggiore.
Nell’intervista con Stefania, una delle imputate, facciamo anche qualche considerazione sulla situazione del CIE bolognese, chiuso “per ristrutturazione” da alcuni giorni dopo le continue rivolte e per mancanza di fondi. Ovviamente tutti si spera che non riapra mai più.