La mano pesante di Xi Jinping

Scritto dasu 3 Maggio 2016

Keung Kwok-Yuen è un popolare giornalista di Hong Kong. Scriveva sul Ming Pao e ultimamente si era occupato dei Panama Papers. A seguito di alcuni articoli la proprietà lo ha licenziato, adducendo come scusa necessità economiche di taglio dei costi.
Alcuni redattori del Ming Pao hanno inscenato una protesta lasciando «in bianco» alcune parti del giornale, nei giorni successivi. Si tratta di un attacco alla libertà di stampa che colpisce l’ex colonia britannica, considerata solitamente più «libera» almeno per quanto riguarda la stampa, rispetto alla Cina continentale.
Dei fatti si sono occupati i principali quotidiani internazionali. Tutti quelli che osservano la Cina, stanno guardando con preoccupazione a quanto accade a Hong Kong, specie oltre un anno dopo le note proteste che hanno chiesto più autonomia rispetto a Pechino.
E se in Cina i Panama Papers sono stati completamente oscurati, non ci si aspettava certo una repressione giornalistica proprio a Hong Kong. Invece qualcosa di grave è accaduto.
Come riportato dal Guardian, «Mercoledì scorso il Ming Pao, uno dei più prestigiosi giornali della città, ha licenziato il caporedattore Keung Kwok-Yuen, lo stesso giorno in cui il giornalista ha riempito la prima pagina con rivelazioni sulle celebrità, i funzionari e gli uomini d’affari di Hong Kong. La direzione del giornale ha detto che il licenziamento era una misura dovuta alla necessità di riduzione dei costi, ma i giornalisti accusano i proprietari di un ordine del giorno più sinistro».
La gestione del licenziamento di Keung è piena di anomalie, hanno scritto alcuni giornalisti, «rendendo difficile per chiunque accettarla come una pura mossa di riduzione dei costi. La gestione deve ai suoi lettori e al pubblico una spiegazione».
«Se un giornalista moderato e professionale come il sig Keung non può essere tollerato, questo che cosa ci dice circa la libertà di stampa a Hong Kong? Siamo profondamente turbati e preoccupati», hanno aggiunto.
La dichiarazione – ricorda il Guardian – non ha menzionato i Papers Panama, «ma Pechino ha intensificato la censura di storie sulla più grande fuga al mondo di documenti di sempre, dopo che i parenti di alcuni alti dirigenti sono stati nominati tra le persone che hanno utilizzato società off-shore per conservare le loro ricchezze».
Si tratta di un fatto che ha avuto delle conseguenze. Come racconta il quotidiano di Hong Kong in lingua inglese, il South China Morning Post, «tre giornalisti del quotidiano in lingua cinese che ha licenziato un capo redattore la scorsa settimana hanno presentato colonne vuote in segno di protesta contro la mossa della direzione».
Gli spazi vuoti delle colonne sono stati presentati nell’edizione cartacea del Ming Pao di domenica, «includendo la nota di un redattore che giustifica il controverso licenziamento».
Nella sua sezione «Sunday Life», il giornale ha riportato le colonne vuote «di Audrey Eu Yuet-mee, fondatore leader del Civic Party, e Eva Chan Sik-chee, ex giornalista del Ming Pao, con i soli titoli a criticare la decisione di licenziare Keung».
Il veterano dei media dell’isola Ng Chi-sum ha lasciato la sua rubrica vuota a eccezione di una riga di titolo, dove ha citato una poesia scritta dai manifestanti di Tiananmen in una protesta del 1976 a Pechino: «Nel mio dolore ho sentito i demoni gridare; Piango mentre lupi e sciacalli ridono».
È stato ricordato che anche nel 2014 il Ming Pao uscì con colonne vuote da parte di diversi scrittori, tra cui Chan e Ng, per protestare contro la decisione improvvisa di sostituire l’ex redattore capo Kevin Lau Chun-to con Chong.
L’associazione sindacale dei giornalisti si è detta «arrabbiata» e «delusa» per il presunto tentativo di ostacolare la libertà di espressione, aggiungendo «che la sua decisione di interrompere la collaborazione con il noto giornalista ha provocato perdite economiche per il Ming Pao».

Quest’articolo, tradotto da China Files, è stato scritto da Simone Pieranni per East Journal.

Abbiamo intervistato Simone Pieranni sulla vicenda, per poi farde un lungo excursus sulla politica del secondo “Grande Timoniere”, il “principino” Xi Jingping, che oggi accentra nelle proprie mani un potere che nemmeno Mao si era assicurato.

Ascolta la diretta con Simone Pieranni:

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