La Jep colombiana pone le basi per una storia delle Farc
Scritto dainfosu 1 Marzo 2021
La Jep (Jurisdicción Especial para la Paz) è un tribunale dal meccanismo molto complesso che non infligge condanne, non commina anni di galera, richiede a chi si presenta volontariamente testimone prove volte a ricostruire la verità, eventualmente assumendosi responsabilità individuali. Ma l’aspetto più interessante che può emergere sono quelle insite nel Sistema, nella struttura delle forze dell’ordine: sicuramente i metodi e le colpe della guerriglia non vengono taciute dai leader delle Farc, maggiore reticenza si coglie dagli esponenti del governo. Istituito in un paese come la Colombia che si trova ancora in una fase di rifondazione delle basi di convivenza dopo la quarantennale guerra tra Farc e potere governativo, in un contesto in cui le violenze proseguono, come Ana Cristina Vargas ha spiegato nel suo articolo su ogzero.org, dove le persone maggiormente esposte nelle lotte sociali vengono falcidiate e dove l’ex presidente Uribe – da sempre contrario a qualsiasi accordo con le Farc – non intende presentarsi in aula, nonostante gli siano attribuiti più di seimila casi di falsi positivi, quegli omicidi soprattutto giovani, ragazzi uccisi solo per ingrandire i numeri e ottenere riconoscimenti, oppure sindacalisti scomodi o contadini, a cui sottrarre la terra, mascherati da annientamento di militanti armati della guerriglia. Ma perché non vuole presentarsi in aula l’acerrimo nemico delle Farc, se ha l’immunità costituzionale e la Jep prevede l’impunità di quanto viene confessato? come si sono presentati Timochenko o altri esponenti governativi, anche perché rischia invece di vedersi trascinato davanti a una corte internazionale per crimini contro l’umanità, che non è animata da giustizia riparativa, bensì punitiva: sanzionatoria, anziché proiettata alla semplice narrazione della verità.
Invece la posizione irresponsabile – per la dirompenza –di Uribe perpetua la volontà negazionista che ha portato a polarizzare la realtà colombiana.
C’è dunque una macrostruttura che privilegia la verità ma anche il risarcimento delle vittime (a cominciare dalla restituzione delle terre confiscate). Si tratta di ricostruire le macrodinamiche che stanno alla base di scomparse, casi irrisolti, buchi enormi di ricostruzioni non di singoli omicidi, ma di massacri fino al 2016, anno dell’accordo storico, poi ridimensionato dal referendum e ora seguito da altrettanta violenza. Delegittimare la Jep significa tornare ad avere semplicemente casi isolati, individuali, che non mettono in discussione il sistema, passo essenziale per ottenere una riscrittura della giustizia: a differenza dello sfondo del processo di superamento sudafricano dell’apartheid, più sociale, qui si tratta di riformulare una storia del conflitto armato. E quindi è un afflato molto più politico, avversato dal governo perché un atteggiamento punitivo non ha come base una ricerca della verità e non permetterà mai di sciogliere i veri nodi che stanno attorno alle dinamiche violente di controllo del territorio: il narcotraffico, il desplazamiento.
“La Jep riformula una storia del conflitto armato”.