Polizia, soggetti da favela e territorio: ruoli e gerarchie

Scritto dasu 14 Maggio 2021

Jacarezinho – 7 maggio 2021, è un episodio che va contestualizzato non solo nella favela in questione ma in un sistema e in una Guerra alla droga che ha assunto da tempo i contorni di operazioni militari, già presenti in Messico e in parte in Colombia che rispondono all’adozione delle modalità della necropolitica, come già accennato da Laura Burocco su “il manifesto” (11 maggio 2021), dove è evidenziata la quantità di esecuzioni sommarie, confermata dal confronto con gli arresti (solo 6). Il bilancio è di 28 morti e una favela di 40000 abitanti devastata e terrorizzata.

La polizia brasiliana ha dichiarato che stava indagando sul reclutamento di adolescenti da parte del Comando Vermelho – banda storica, nata nel 1969 in carcere dall’alleanza tra criminalità comune e militanti di sinistra –, pesantemente coinvolti nel traffico di droga e armi e che hanno base logistica nella favela carioca

Per capire questa strage bisogna riflettere sui tre protagonisti: il ruolo della polizia, quello dei soggetti e il territorio. I vertici della polizia continuano a rivendicare la strage come un successo e si trincerano dietro la lunga preparazione, trovando in questo semplice fatto l’autolegititmazione; un aspetto che si colloca nella tradizione carioca secondo la quale le forze dell’ordine di Rio sono le più feroci ed assassine, pur non agendo nelle zone più violente del paese – che si trovano nel Nordest del paese. Un modo deliberatamente omicida, perché considerata una prassi efficace per gli scopi educativi, senza tenere conto di procedure richieste dalle regole di ingaggio (visto che si tratta di una Guerra) per operazioni in territori densamente popolati da civili. Questo è possibile per la copertura offerta dai vertici politici, a cominciare dall’incendiario sindaco di Rio, eletto su un programma securitario estremamente violento anche nei toni.
Maschi, giovani, neri e di favela sono i soggetti nel mirino della «bala que nâo erra o alvo», come recita un documento della Red de observatórios da segurança, a questa fascia di popolazione è riservata questa educazione letale, perché è costruita una leggenda attorno a questa tipologia che li rende “potenzialmente assassinabili” agli occhi della opinione pubblica. Privati dei diritti civili di cui possono avvalersi le altre persone, al punto che è prassi rimuovere i cadaveri da parte della polizia, laddove sarebbe proibito, perché così alterano le prove della mattanza in piena impunità. Un’impunità che solo la determinazione e la consapevolezza anche politica degli abitanti in favela cerca di intaccare: gli unici processi per gli abusi e gli omicidi della polizia sono venuti per impulso della favela.
La reazione del territorio è riconducibile a una reazione alla pressione democratica cominciata negli anni Novanta che ha condotto in ambito delle favelas alla messa in discussione di tutte le gerarchie – autoritarismo fascistoide che ha portato al potere Bolsonaro – e questo ha innescato la rabbiosa reazione poliziesca che vuole ripristinare tutte quelle gerarchie. Rimettere al loro posto le favelas.
Quanta violenza è necessaria per mantenere una realtà con diseguaglianze così forti dal punto di vista economico, territoriale e razziale.
Ne abbiamo parlato con Silvia Stefani, ricercatrice all’Università di Torino:

Ascolta “Polizia, soggetti da favela e territorio: ruoli e gerarchie” su Spreaker.


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