Il 31 Agosto, dopo una vacanza di un paio di settimane o poco più, Khaled assieme alla moglie Francesca e il figlio di quattro anni si sono diretti in Cisgiordania al ponte di Allenby, per fare rientro in Giordania per poi poter partire in aereo da Amman.
Al controllo dei passaporti non c’è stato nessun problema nel lato di pertinenza palestinese – il valico è suddiviso in sezione sotto il controllo dell’ANP, sezione a controllo militare israeliano e sezione giordana -. Quando però la famiglia ha messo piede nella zona di pertinenza israeliana l’attesa ha iniziato a essere molto lunga, i passaporti di Khaled e Francesca sono stati ritirati per la necessità di fare altri controlli; le borse sono state ripetutamente passate ai raggi X e più volte è stato richiesto a Khaled di alzarsi dalla sedia in sala d’aspetto e raggiungere i nastri con i bagagli.
Dopo circa un’ora di questo trattamento, senza alcun apparente motivo Khaled è stato ammanettato e portato via da una guardia di frontiera. Alle numerose richieste di Francesca sul motivo di questo trattamento non è stata data alcuna risposta; successivamente moglie e figlio sono stati condotti nella cosiddetta “VIP lounge”, esterna al percorso imposto ai palestinesi all’interno del check-point del valico. Una volta lì Francesca è stata raggiunta da due persone che le hanno rivolto numerose domande sul loro viaggio, sul suo lavoro, sull’orientamento politico di Khaled e su cosa facesse Khaled in Italia. Al termine di una mezz’ora di interrogatorio sommario, viste anche le intemperanze del bimbo che non capendo cosa stesse succedendo iniziava a essere piuttosto nervoso, i due sono stati nuovamente spostati nella saletta comune, dove una volta restiruiti i passaporti è stato detto come se nulla fosse a Francesca che poteva proseguire.
Alle continue richieste di Francesca di cosa ne fosse stato di Khaled e di poter riavere indietro il telefono e di come potesse fare per raggiungere Amman senza bagagli e senza soldi è stato semplicemente risposto: <<it is not our problem>>.
Un gesto di solidarietà è invece arrivato da alcune signore palestinesi che hanno offerto a Francesca quaranta dinari per poter prendere un taxi e raggiungere l’ambasciata italiana ad Amman.
In seguito sappiamo che Khaled è stato tradotto in un carcere di Tel Aviv. Da quel giorno la detenzione di Khaled è stata prolungata di settimana in settimana senza la formalizzazione di alcuna accusa, in isolamento, con forti limitazioni a incontrare il proprio avvocato, venendo sottoposto a continui interrogatori condotti con metodi non allineati ai principi dettati dalle norme internazionali.
Questa modalità di detenzione secondo la legge israeliana può essere protratta fino a un mese, in alcuni rari casi anche a 45 giorni, dopodichè le autorità israeliane potranno o formalizzare le accuse e sottoporre Khaled a processo penale, o semplicemente, come nel caso di altri 1200 prigionieri palestinesi attivare una procedura “amministrativa”, che permette incarcerare persone senza processo, rinnovando la detenzione di sei mesi in sei mesi.