Valore e violenza: sabotare, interrompere, bloccare la logistica di guerra

Scritto dasu 15 Aprile 2024

Dire logistica è dire guerra, essa infatti nasce come scienza militare. E’ in particolare l’ingegneria della Seconda Guerra Mondiale ad aver rappresentato un momento di rinnovata propulsione per l’organizzazione del mondo-guerra: come pianificare gli utilizzi e spostare migliaia di equipaggiamenti militari e pezzi di ricambio? Economisti e matematici sono stati mobilitati per creare nuovi metodi di pianificazione, gestire grandi set di dati e rendere più efficiente la circolazione e il trasporto di armi, munizioni, veicoli e materiali di guerra. È poi la guerra in Vietnam a segnare, con la containerizzazione, un ulteriore incremento della logistics industry: il trasporto di armi e rifornimenti dagli USA fino ai porti vietnamiti qualifica la logistica americana come un “esercito oltre l’esercito”,  che in un documentario televisivo del 1968 prodotto dai servizi di propaganda della U.S. Army viene definita una “pipeline per la vittoria”.

 

Dalle guerre guerreggiate novecentesche, passando per la guerra capitalistica contro le lotte in fabbrica negli anni Sessanta e Sessanta, la logistica come dispositivo di valorizzazione e violenza si afferma come centrale per l’organizzazione della guerra totale a cui oggi l’intera popolazione è chiamata a mobilitarsi.

Un aspetto interessante è che questa organizzazione dei flussi, sempre più sofisticata ed ingegnerizzata ed in cui le rotte civili e militari si sovrappongono quotidianamente senza soluzione di continuità, presenta al contempo delle evidenti vulnerabilità.
In primis il fatto che determinati trasporti devono essere resi visibili per la loro movimentazione, il che ha permesso ad esempio le azioni di blocco messe in campo dai portuali, o ancora il fatto che via terra sono presenti dei “colli di bottiglia” critici. O ancora il fatto che tanti snodi logistici bellici sono rappresentati da piccole-medie imprese a conduzione familiare che si sono convertite alla produzione militare, come la piccola provincia di Lecco, prima in Italia per esportazioni di armi militari verso Israele, dimostra.
Dunque non solo grossi stabilimenti come quelli di Leonardo o della Fiocchi Munizioni, contro cui è stato chiamato un corteo per il 18 maggio, ma anche, ad esempio, la Mepit Srl di Settimo Torinese o la Apr Srl di Pinerolo.

Una proposta per coordinare un blocco economico internazionalista della logistica di guerra è stata chiamata proprio per oggi, 15 aprile, in solidarietà con la Palestina: qui un resoconto di varie azioni.

Sabotare, interrompere, bloccare la guerra, nei porti, nelle autostrade, nelle fabbriche, nelle città, è possibile.

E’ l’occasione per fare una panoramica sulle catene logistiche della guerra che attualmente attraversano l’Italia, una filiera pienamente integrata nell’industria statunitense, con Carlo Tombola di Weapon Watch (osservatorio sulle armi nei porti europei e mediterranei):

 

Abbiamo poi ricevuto aggiornamenti da Berlino, dove si inasprisce la repressione della solidarietà a Gaza. La polizia ha preso d’assalto un congresso dove si discuteva del genocidio in corso e del ruolo tedesco nel supportarlo, staccando l’elettricità, impedendo la presa di parola, sgomberando. Udi Raz, ebreo tedesco portavoce di Jewish Voice for Peace in Germania, è stato arrestato.

Qui il resoconto di una compagna da Berlino:

Qui la diretta con José, portuale del CALP di Genova, presente al congresso:

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