Dall’automotive al militare: Torino, la ristrutturazione industriale europea e noi

Scritto dasu 21 Marzo 2025

Dalla Germania a Torino, capitale dell’automotive italiano, sta diventando realtà la massiccia riconversione al militare delle fabbriche che producevano auto, carrozzeria, componentistica – e insieme a loro dell’enorme galassia dell’indotto. Le grandi fabbriche dell’automotive tedesche sono già entrate da anni in una irreversibile crisi di produzione, con effetti sociali “collaterali” devastanti (come gli oltre 30 000 licenziamenti annunciati da Volkswagen): da un lato, quindi, il gigante dell’economia europea che rischia di collassare insieme al suo settore industriale in crisi – dall’altra, le conseguenze drammatiche di una tensione sociale che darebbe il colpo di grazia alla (già fragile) situazione politica tedesca. Anche in Italia (dove oltre alla produzione primaria esistono centinaia di fabbriche di indotto che prendono commesse dalle sorelle maggiori tedesche e italiane) la produzione industriale continua a calare: il dato di gennaio dice meno 0,6 su dicembre, e meno 3,6% su base annua, ed ecco che anche a Torino tutti, da Leonardo a Stellantis, puntano sulla riconversione in stabilimenti per la produzione militare. È la ristrutturazione del capitale industriale europeo, o quel che ne rimane, nel tentativo di salvare i profitti in caduta libera. I fondi privati, però, non bastano né in Italia né in Germania: ecco dunque arrivare l’avallo del governo italiano, l’arrivo provvidenziale del piano ReArm EU e le giravolte delle varie manovre finanziarie europee finalizzate a trovare 800 miliardi di euro da spendere per la difesa. Non una “necessità della democrazia” per difendersi dalla “guerra in arrivo da Est”, bensì una scelta economica precisa a sostegno dei tentativi dei padroni di un settore industriale in crisi drammatica di salvare la produzione passando dal costruire macchine allo sfornare bombe – e guarda caso, a doversi salvare per prima all’interno delle “democrazie” europee è proprio la produzione economica tedesca, proprio come durante la crisi del 2010, quando pur di non cedere qualche spicciolo il governo Merkel obbligava la Grecia ad andare a fondo.
Solo la Germania, infatti, ha al momento pronto un piano industriale di riarmo in grado di riassorbire completamente la crisi dell’industria e una politica finanziaria sufficiente a sostenerlo. In Italia si naviga a vista come nel resto d’Europa, senza sapere da dove dovrebbero venire i miliardi necessari: l’unica cosa certa è che una tale maxi-operazione di riconversione industriale non si fa dall’oggi al domani, ed avrebbe probabilmente conseguenze disastrose sui posti di lavoro e sulla tenuta sociale di territori come Torino, in cui l’automotive è un settore produttivo centrale. Capire a fondo i meccanismi economici della ristrutturazione di capitale europea e soprattutto la loro incidenza sulla città in cui viviamo ci può aiutare a tracciare qualche idea per un futuro che non si rassegni al riarmo come unica soluzione per salvare la nave che affonda, tra inquietudine dei sindacati e la vecchia, eppure imprescindibile, dialettica tra salute (quella di chi vedrà arrivarsi addosso le bombe made in Italy) e posti di lavoro (quelli, quantomeno, che si riusciranno a salvare).

Ne abbiamo parlato con Massimo Alberti, giornalista ed autore di un servizio su questi argomenti per Radio Popolare:

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