Industria degli armamenti e logistica di guerra – Sulle mobilitazioni antimilitariste genovesi

Cattivi Pensieri

La mobilitazione dei portuali genovesi e dei/delle solidali contro la compagnia navale nazionale saudita Bahri – un’esperienza tuttora in corso e aperta a più vaste prospettive di lotta – si situa nel contesto sociale e politico degli ultimi anni. […] La gestione e controllo dei flussi migratori hanno fatto assumere ad alcuni porti italiani – approdi dei viaggi di chi fugge dalla miseria e dalla guerra provocata nel sud del mondo dal colonialismo e dallo sfruttamento dei paesi occidentali – il ruolo di luoghi privilegiati di propaganda di politiche migratorie razziste e persecutorie. 
Ma tutto questo ha anche l’effetto di risignificare il porto come luogo concreto del nesso guerra – razzismo. Un aspetto che lotte come quella dei portuali di Genova colgono appieno. (tratto da Nessun approdo alla guerra)

Le recenti mobilitazioni dei portuali genovesi e di altri porti europei contro il trasporto di armamenti da parte della compagnia nazionale saudita Bahri hanno efficacemente messo in luce il funzionamento e la possibilità di blocco delle lunghe catene globali dell’industria bellica e della logistica di guerra.

L’assemblea contro la guerra di Genova indice un corteo per sabato 7 dicembre a Sestri Ponente contro l’azienda bellica italiana Leonardo, eccellenza a livello mondiale nel settore della difesa, dell’aerospazio e dei sistemi di sicurezza per la gestione del “nemico interno”. Con un compagno dell’assemblea presentiamo l’iniziativa e ritorniamo sulle mobilitazioni dei portuali della scorsa primavera:

 

Nella seconda parte, allargando lo sguardo dalla vicenda della Bahri Yanbu, spostiamo il focus sul ruolo dell’Arabia Suadita, paese che si colloca al terzo posto a livello mondiale per le spese militari negli ultimi anni. Attore regionale di primo piano nelle dispute geopolitiche mediorientali, dal conflitto in Yemen alla guerra civile siriana, la classe dominante saudita intraprende una vera e propria corsa agli armamenti, stretta fra crisi petrolifera, necessità di diversificazione produttiva, tensioni sociali latenti e tentativi di espansionismo regionale.




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