Manette e marijuana
Scritto dainfosu 16 Aprile 2014
Gli amanti della libera coltivazione della marijuana hanno ricevuto dai media nostrani un bel pesce d’aprile. Nel pomeriggio di martedì 1° aprile, radio, TV e giornali, poco prima della votazione finale alla Camera dei Deputati del cosiddetto Decreto Svuotacarceri, hanno iniziato a diffondere la notizia che tra le depenalizzazioni previste vi fosse anche quella della coltivazione della cannabis per uso personale. La notizia ha subito fatto il giro dei social network, ma è finita anche sulle pagine dei giornali e sono fiorite le fantasie di piante di ganja che si godevano finalmente indisturbate il sole nei balconi e nei giardini. Peccato, però, che all’interno dello Svuotacarceri (che le carceri le svuoterà poco e chissà quando, visto che si tratta di una legge delega, cioè di un provvedimento che richiede che il Governo entro 18 mesi emani i relativi decreti legislativi), l’unica modifica prevista in merito alla coltivazione di sostanze stupefacenti riguardi solo ed esclusivamente le violazioni commesse da istituti universitari e laboratori pubblici di ricerca che hanno ottenuto autorizzazione ministeriale alla coltivazione per scopi scientifici, sperimentali o didattici. Attualmente, se questi istituti autorizzati dal Ministero non osservano le prescrizioni cui l’autorizzazione e’ subordinata, commettono il reato di cui all’art. 28, comma 2 del Testo Unico sugli stupefacenti, che prevede l’arresto sino ad un anno, mentre in futuro non incorreranno più in sanzioni penali ma solo pecuniarie. Chi, invece, coltiva piante di cannabis senza autorizzazione ministeriale – che come detto puo’ essere concessa solo a istituti universitari e laboratori pubblici di ricerca – continua ad essere perseguito penalmente, esattamente come prima e rischia di andare in galera.
A proposito di galera, il Capo del Dipartimento dell`Amministrazione Penitenziaria ha confermato in un’audizione alla Camera che il numero di detenuti imprigionati per la Fini-Giovanardi abolita dalla Corte Costituzionale dopo anni di mobilitazioni antiproibizioniste ammonta a 8.589 definitivi e 4.345 in attesa di giudizio e che una parte considerevole di questi è rappresentato «da detenuti che scontano la pena per aver ceduto quantitativi di hashish e marijuana». L’applicazione della sentenza della Corte ai detenuti in attesa di giudizio è relativamente semplice: sulla base dei nuovi parametri, il giudice delle indagini preliminari potrà rivalutare la sussistenza dei presupposti per la custodia cautelare in carcere e verranno poi eventualmente condannati sulla base delle nuove pene che distinguono tra “droghe leggere” e “droghe pesanti”. Per chi, invece, è già stato condannato definitivamente, il codice di procedura penale prevede la possibilità di rivolgersi al «giudice dell’esecuzione» per tutto ciò che riguarda la pena in corso e in teoria si può chiedere al giudice anche di rideterminare la pena giudicata illegittima dalla Consulta, ma questa possibilità viene lasciata totalmente all’arbitrio giudici dell`esecuzione. Ed, inoltre, non è scontato che tutti i detenuti abbiano le informazioni e l’assistenza legale necessarie per far valere le proprie ragioni. A questo caos legislativo si aggiunge quanto denunciato dall’associazione A Buon Diritto. “Prima ancora della decisione della Corte costituzionale, il Governo Letta ha giustamente trasformato l’attenuante della «lieve entità» nel possesso di sostanze stupefacenti in un reato autonomo con propri limiti di pena e, soprattutto, di durata massima della custodia cautelare. Ma, delineato nel quadro precedente alla decisione della Corte, il nuovo reato di «lieve entità» non distingue tra «droghe leggere» e «droghe pesanti»”. Così, in caso della lieve entità, saranno punite allo stesso modo (con pene da uno a cinque anni) la detenzione di sostanze che in caso di quantitativi più ingenti sono puniti con pene molto diverse tra di loro (da 8 a 20 anni di carcere nel caso delle droghe pesanti, da due a sei anni nel caso delle droghe leggere) e sono punite quasi allo stesso modo la detenzione di piccoli o di ingenti quantitativi di droghe leggere (da uno a cinque anni nel primo caso, da due a sei anni nel secondo).
Intanto, la macchina proibizionista continua a funzionare a pieno regime. A giudicare dalle notizie di agenzia, la moda della primavera proibizionista 2014 sono le perquisizioni nelle scuole superiori. Per fortuna, c’è sempre più spesso chi dice no. A Pisa le perquisizioni in classe all’ITC Pacinotti, dopo le proteste dell’Osservatorio Antipro, le rivelazioni del quotidiano indipendente on line Paginaq.it e la presa di posizione della maggior parte degli insegnanti della scuola, alla fine sono costate il posto alla preside che aveva richiesto l’intervento della Guardia di Finanza. A Terni, invece, Franco Coppoli, docente di lettere all’Istituto per Geometri «Sangallo» e referente provinciale dei Cobas, ha impedito alla polizia, con tanto di cane antidroga, di perquisire la classe in cui stava insegnando. Come ha raccontato l’insegnante all’ANSA, “ero in cattedra e stavo interrogando quando la porta si è aperta e ho visto un cane lupo e tre poliziotti. Hanno intimato di uscire dall’aula. Ho chiesto loro se avessero il mandato di un magistrato, mi hanno risposto che erano autorizzati dalla preside. A quel punto ho fatto presente che non potevano bloccare l’attività didattica e che avrei presentato una denuncia per interruzione di pubblico servizio qualora lo avessero fatto. Il controllo, in classe, non c’è stato». Per punirlo del suo atto di coraggio, la sua dirigente scolastica ha chiesto all’Ufficio scolastico provinciale e regionale l’avvio di un procedimento disciplinare, di sospensione superiore ai dieci giorni.
Ne abbiamo parlato con Robertino Barbieri di Psychoattiva.
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