Il Burundi nella stretta repressiva pre-elettorale
Scritto dainfosu 25 Giugno 2015
Dalla fine di aprile almeno 70 persone sono rimaste uccise e 500 ferite tra gli oppositori del presidente Pierre Nkurunziza. La forte repressione non ferma le proteste, e anche domenica scorsa quattro persone sono morte nella città di Ngozi, a nord della capitale Bujumbura, per l’esplosione di una granata. L’opposizione taccia di incostituzionalità la candidatura del presidente per un terzo mandato. Le elezioni presidenziali si terranno il prossimo 15 luglio in un paese sempre più stretto nella morsa di repressione e censura. Il terrore indotto nella gente dalla politica presidenziale ha già cominciato a produrre profughi, che fuggono verso Tanzania e Rwanda, e rivifica i fantasmi dei sanguinosi conflitti che in passato hanno coinvolto Hutu e Tutsi. Abbiamo sentito, in diretta da Bujumbura, la ricercatrice Marta Mosca, per aggiornamenti in tempo reale sulla situazione.
I media mainstream, megafono dell’etnocentrismo che caratterizza da sempre il rapporto dell’Occidente con l’Altro, e nello specifico con l’Africa, tendono ad appiattire e ridurre i conflitti politici,sociali ed economici nel continente a mere contrapposizioni etniche. E’ una vecchia storia, che comincia col colonialismo: la spartizione coloniale dell’Africa non avvenne nell’hic sunt leones politico e sociale, ma in un contesto caratterizzato da formazioni socio-politiche estremente differenziate e stratificate. Per governare bisognava dividere, e il colonialismo si servì dell’antropologia, che separò, con le sue teorie e i suoi discorsi, quelle che erano originariamente catene continue di società intensamente interconnesse, creando le etnie come monadi isolate ed esclusive. Lungi dall’essere composizioni sociali omogenee al loro interno, gruppi come quelli degli Hutu o dei Tutsi erano invece in origine formazioni socio-politiche dotate di un alto grado di differenziazione interna e legate da continui rapporti di scambio anche matrimoniale. Furono i colonizzatori, prima tedeschi e poi belgi, in Burundi,. ad attribuire un ruolo dominante ai Tutsi, cooptandoli nella gestione coloniale del potere, sulla base di una presunta superiorità della “razza” Tutsi, a sua volta fondata su una teoria evoluzionista razzista, in voga all’epoca, che sosteneva, senza prove, il mito hamitico dell’origine etiope dei Tutsi.
La persistente etnicizzazione e super-tribalizzazione delle società altre, tipica del discorso Occidentale, neutralizza i conflitti che vi si svolgono, forcludendone il carattere eminentemente socio-politico. Il discorso dei media si presenta dunque come il prolungamento “soft” dell’impresa coloniale.
Resta sempre necessario dunque decostruirne i concetti per ritrovare il vero senso dei conflitti e delle contraddizioni sociali: parafrasando lo scrittore nigeriano Chinua Achebe, ” anche il leone deve avere chi racconta la sua storia, non solo il cacciatore”