L’India specchiata nella vetrina dei negozi occidentali
Scritto dainfosu 4 Giugno 2015
Intorno all’anniversario della presa di potere di Narendra Modi, il nazionalista di destra noto per le stragi interconfessionali in Gujarat del 2003, con Anna Nadotti abbiamo tentato un sintetico excursus dei molti argomenti relativi al subcontinente indiano in questo periodo di molteplici eventi e anniversari, del tutto ignorati dalla informazione mainstream occidentale che accende i riflettori su quella remota area geografica soltanto nel caso di calamità (come il terremoto in Nepal, ora dimenticato), oppure se palazzi fatiscenti fanno strage di lavoratori sottopagati, come nel caso del Rana Plaza in Bangladesh (proprio in questi giorni s’inizia il processo contro il proprietario Sohel Rana per omicidio aggravato di 1250 lavoratori, evento oscurato completamente da noi), ma senza approfondire quale sia il business che sfrutta e uccide quei lavoratori e che deriva dalla futile domanda occidentale di capi d’abbigliamento di quel tipo, per cui ci si dovrebbe sempre chiedere quante volte vengono indossati e se la risposta è un numero superiore a 30, allora forse andrebbero pagati adeguatamente, ma se invece sono inferiori a 5 non è il caso di comprarli, come si dice nel film The True Cost (http://blandonware.com/movietri/play/id129488814/), per bloccare la supply chain della offerta globale.
Abbiamo iniziato la chiacchierata con Anna traendo spunto da un altro documentario di Ursula Biemann, Global Snapshot, che analizzava le ripercussioni sulle zone climatiche del riscaldamento globale indotto dall’Occidente, perché anche nel caso delle morti per il caldo di questi giorni nella regione di Dehli il First Post commentava i ritardi nella distribuzione dell’acqua come “tardiva risposta all’attenzione sollevata dai media stranieri”, senza considerare quanto sia preziosa l’acqua in quel paese. Appunto: sempre mantenendo un approccio che parte dal punto di vista occidentale.
Da qui poi il flusso di analisi e informazioni ha toccato il sistema di dighe che mutano le condizioni agricole di intere regioni (la protesta ignorata dai media mainstream di interi villaggi in sciopero della fame immersi per giorni nelle acque dei bacini artificiali delle dighe il cui innalzamento mette a rischio la loro sopravvivenza); semi Monsanto imposti a contadini costretti a indebitarsi quando il raccolto va perduto (e si sono registrati 250 mila casi di suicidio da parte di queste persone che nella tradizione sopravvivevano con un duro lavoro e che ora sono in balia dei costi di approviggionamento dei semi presso la multinazionale degli Ogm)…
Potete ascoltare questo e molto altro in questo podcast: