L’Europa chiusa nella moltiplicazione dei suoi confini

Scritto dasu 6 Luglio 2015

Non è solo la Grecia a concorrere nel rendere l’Unione Europea un simulacro sempre più vuoto e totalmente disinteressato ai bisogni reali delle persone. In questi mesi, i/le migranti che hanno cercato di raggiungere ed attraversare i paesi del sud e dell’est del continente, utilizzando ogni mezzo di trasporto o muovendosi semplicemente a piedi per superare i confini “esterni” ed “interni” dell’Unione Europea, hanno dimostrato come sia in corso una riorganizzazione – al momento rappresentata da una sorta di impasse politica apparente – di forme altamente violente di limitazione della mobilità, più che di inclusione differenziale e gerarchizzata come era stato fino ad ora. Ciò si manifesta a partire dal caso clamoroso di Ventimiglia ma anche guardando alla Stazione di Milano, a Calais, al Brennero, ed a numerosi altri luoghi dove i confini spesso invisibili si materializzano nella loro violenza biopolitica.

Questa mattina ne abbiamo parlato con Sandro Mezzadra, docente di filosofia politica all’Università di Bologna, partendo naturalmente dalla centralità delle lotte portate avanti dai migranti negli ultimi decenni attraverso i molteplici confini che ne attraversano le vite (in primis all’interno dei mercati del lavoro) e che proprio a partire da tali lotte si sono ridefiniti. L’articolazione di queste lotte con i movimenti appare invece ancora oggi frammentata, tanto che l’economia politica “dell’umanitario” riesce ad estendersi in maniera sempre più pervasiva, arrivando ad  amministrare in maniera capillare – ed ovviamente depoliticizzata – la vita ed il lavoro (iper-precario) dei migranti nelle città, nelle campagne e nei diversi campi dove la loro esistenza viene confinata.

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