La residenza come dispositivo di controllo ed inclusione differenziata

Scritto dasu 26 Gennaio 2016

Questa mattina abbiamo analizzato insieme ad Enrico Gargiulo, ricercatore precario presso l’Università del Piemonte Orientale, l’ampia “materia” che riguarda l’accesso alla residenza e la possibilità di iscrizione anagrafica nei diversi comuni dello stato.

La residenza non è un istituto previsto solamente dall’ordinamento giuridico italiano, ma è presente, ad esempio, anche in altri paesi europei. In Francia, Spagna e Regno Unito esistono dispositivi simili volti a garantire l’accesso alla “cittadinanza” – termine ormai sempre più vacuo, essendo slegato dalla effettiva condizione che si trovano a vivere soggetti sul territorio di stati sempre più attraversati da molteplici confini di classe/genere/razza/sessualità/… -, intesa come possibilità di soddisfare bisogni essenziali quali salute, istruzione, possibilità di ottenere una casa popolare, ecc. Nella stagione dei “sindaci sceriffo”, la produzione di ordinanze speciali per negare o rendere di fatto impossibile l’accesso alla residenza per persone migranti, rom, o comunque indesiderabili o socialmente pericolose ha raggiunto picchi clamorosi, in particolare nei piccoli comuni del Nord Est. In modo differente e più subdolo, anche grandi città come Torino hanno saputo negare o “differenziare” la residenza (come nel caso di Via della Casa Comunale n. 3), piuttosto che discriminare ed includere differenzialmente nello spazio urbano soggetti ordinati gerarchicamente, attraverso azioni amministrative più opache e meno esplicitamente razziste.

Naturalmente in questo discorso non bisogna dimenticare il “lato oscuro” della residenza. Essa infatti ha storicamente rappresentato una forma di controllo capillare di popolazione e territorio da parte dello stato ed è interessante analizzare la trasformazione di questa sua funzione, con particolare attenzione all’ultimo decennio. L’articolo 5 del decreto Lupi ha manifestato come la residenza possa farsi strumento di politiche puramente repressive, laddove si è stabilita la possibilità di negare la residenza a chi, rispondendo ad un bisogno materiale e portando avanti la lotta per la casa, vive in occupazione.

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