Caselle. Corteo contro le fabbriche d’armi

Scritto dasu 8 Marzo 2016

Sabato 12 marzo a Caselle Torinese si svolgerà una giornata di lotta promossa dall’assemblea antimilitarista.
L’appuntamento è alle ore 15 in piazza Boschiassi, dove ci saranno banchetti informativi e un’assemblea di piazza con interventi su fabbriche d’armi, No F35, No Muos, No Basi, No Border, lotta contro le frontiere in Kurdistan, militarizzazione e lotte sociali…
La prima della piece di Gianni Milano, “Gira la ruota gira”, teatro di strada precederà il corteo antimilitarista, che attraverserà il centro di Caselle e si concluderà alla rotonda di piazza Ceccotti, dove campeggia un aereo militare.

Ne abbiamo parlato con Domenico del movimento No F35 di Novara, che ha illustrato i primi dati emersi dal rapporto SIPRI di quest’anno.

Ascolta la diretta:

2016-03-08-dome-nof35-caselle

Il SIPRI, Stockholm International Peace Research Institute, è un ente indipendente di ricerca che si occupa di peace studies.

Il SIPRI produce un rapporto annuale che descrive, tra le altre cose, lo stato del commercio internazionale di armi.

Negli ultimi tre anni il mercato è stato in crescita costante e netta.

Grafici e tabelle riguardanti i principali esportatori di armi confermano il dominio commerciale esercitato dalle grandi potenze USA e Russia, che accrescono ulteriormente le loro fette di mercato; tale crescita di vendite all’estero riguarda anche le imprese costruttrici di armi situate in altri Stati: Cina, Regno Unito, Spagna, Italia, Ucraina; mentre sono in calo le vendite di armi provenienti da Francia, Germania, Paesi Bassi.

Gli USA controllano il 33% delle esportazioni mondiali di armi; i migliori clienti degli USA sono Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Turchia. La Russia controlla il 25% delle esportazioni mondiali di armi; i suoi migliori clienti sono India, Cina, Vietnam. Seguono, a grande distanza, altri Stati grandi e piccoli. La Cina sta al terzo posto in questa graduatoria: la sua quota di mercato è del 5,9% e i suoi clienti più importanti sono Pakistan, Bangladesh, Myanmar. Segue la Francia con il 5,6% rivolto per lo più in direzione del Marocco, della Cina e dell’Egitto. Poi la Germania (pur in calo, come la Francia) con il 4.7%, in direzione soprattutto di USA, Israele e Grecia. Segue il Regno Unito con il 4,5% e una sceltissima clientela: l’Arabia Saudita (in quantità nettamente preponderante), l’India e l’Indonesia tra gli altri. Poi arriva la Spagna con il 3,5% e finalmente (in un’ottima ottava posizione) l’Italia, con il 2,7% del mercato. Il nostro Paese vende soprattutto a Emirati Arabi Uniti, India (nonostante le marachelle della magistratura indiana riguardo ai famosi marò), Turchia (grande paese democraticissimo e rispettosissimo delle minoranze entro i suoi confini). In nona posizione l’Ucraina con il 2,6% e in decima posizione i Paesi Bassi con il 2%.

Di seguito
alcuni stralci di uno dei volantini che verranno distribuiti in piazza il 12 marzo.

Le industrie belliche costruiscono le armi con le quali si controlla, si bombarda, si uccide in ogni dove. Le università che orientano la ricerca verso il settore bellico sono complici dei massacri.
L’industria bellica italiana fa affari con chiunque, il made in Italy va alla grande.
Renzi è appena stato in Nigeria, accompagnato da uno stuolo di imprenditori italiani, primo tra tutti Descalzi, l’AD di ENI, responsabile dell’inquinamento del Delta del Niger, delle malattie e dell’impoverimento delle popolazioni locali, le cui proteste sono represse nel sangue dal governo nigeriano.
l governo italiano e l’UE appoggiano la Turchia, che ha mandato l’esercito per cancellare le esperienze di autogoverno nel Bakur, il Kurdistan turco. In queste settimane è in corso un massacro di cui i principali media italiani non parlano. Il silenzio – oltre ad un bel mucchio di soldi – è il prezzo imposto da Erdogan per blindare le frontiere e chiudere nei campi i profughi di guerra in fuga da Siria, Iraq, Afganistan.
Il governo italiano protesta sommessamente per un giovane ricercatore friulano torturato a morte dalla polizia egiziana, ma fa buoni affari con la feroce dittatura militare che ogni giorno imprigiona, tortura e uccide.

L’Italia è pronta ad un nuovo intervento militare in Libia a sostegno di chi garantisca meglio gli interessi delle ditte italiane e il controllo delle coste.
L’Italia stessa è una portaerei gettata sul Mediterraneo, costellata di aeroporti militari, poligoni, centri di controllo satellitare, postazioni di lancio dei droni.
Le prove generali dei conflitti dei prossimi anni vengono fatte nelle basi sparse per l’Italia. Le stesse basi da cui sono partite le missioni dirette in Libia, Iraq, Afganistan, Serbia, Somalia, Libano…
(…)
A Torino e Caselle c’è l’Alenia, la sua “missione” è fare aerei militari. Nello stabilimento di Caselle Torinese hanno costruito gli Eurofighter Thypoon, i cacciabombardieri made in Europe, e gli AMX. Le ali degli F35, della statunitense Loockeed Martin, sono costruite ed assemblati dall’Alenia.
Un business milionario. Un business di morte.


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