Non di sola Ilva è il mal di Ferriera: Arvedi di Servola

Scritto dasu 23 Dicembre 2017

In Italia il dibattito sulla nocività della produzione siderurgica si appunta sull’Ilva di Taranto, e coinvolge così tutti gli stabilimenti italiani nella lotta tra chi privilegerebbe la salute alla salvaguardia dei posti di lavoro. Ma le fonti di inquinamento e di decessi per disastro ambientale che impone la dislocazione di uno stabilimento di quella portata in un ambito urbano molto abitato si trova anche con le stesse ripercussioni pure altrove. Magari è inferiore il coinvolgimento di maestranze in realtà minori come numeri di impiegati, ma l’impatto delle ferriere Arvedi di Servola sul territorio triestino in questo ultimo secolo (costruita nel 1896 dagli austriaci per rifornire l’industria dell’impero) non è meno devastante di quello che l’impianto siderurgico tarantino è per Tamburi nei giorni di vento, con l’unica variante che nei giorni di bora almeno le polveri vengono orientate altrove e non invadono le prime case che distano solo 160 metri dalla cokeria.

Le ferriere han fatto parte del gruppo Lucchini, negli ultimi anni la situazione vissuta dai Servolani è peggiorata e i dati che riportano il numero di morti riconducibili all’inquinamento per densità di popolazione sono peggiori di quelli che coinvolgono Taranto, al punto che, come si dice nella testimonianza di Emanuele Giordana qui riportata, una città considerata la Stalingrado di Trieste si è affidata all’ennesima figura di sindaco che ha già dimostrato il suo livello di menzogna non avendo chiuso l’area a caldo come promesso da spergiuro di destra in una campagna elettorale, persa dagli spergiuri di sinistra che già avevano disatteso le attese della cittadinanza nei precedenti mandati. Ora Roberto Dipiazza, il sindaco, ha a sua volta iniziato azioni legali, come quelle intentate dagli amministratori pugliesi… ma le organizzazioni ambientaliste non ci credono più e non si sa come ridurre alla ragione la Siderurgica Triestina, controllata dal 2015 dal gruppo Arvedi, quando ha sottoscritto con le istituzioni (Regione di Serracchiani e Comune allora PD) una messa in sicurezza ambientale e la reindustrializzazione di un’area che non si può permettere impianti di quelle dimensioni in un territorio del genere, per cui andrebbe ripensato l’intera struttura, ma i costi sono troppo elevati, forse anche per il progetto gigantesco della One Belt One Road cinese che vedrebbe nel porto giuliano uno dei suoi snodi.

Ecco il lucido racconto di ciò che ha visto in loco Emanuele Giordana, giornalista di Lettera 22:

Arvedi di Servola


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