Afrin. Il cerchio si chiude

Scritto dasu 13 Marzo 2018

Le truppe turche stanno completando l’accerchiamento del cantone di Afrin, l’area curdofona più occidentale, un’enclave isolata dal resto del Rojava dopo l’operazione turca “Ira dell’Eufrate”.
Dopo 40 giorni di bombardamenti e operazioni di terra condotte sia da truppe turche che da miliziani islamisti vicini ad Ankara, gli occupanti sono a meno di un chilometro e mezzo dal centro di Afrin.
I bombardieri bruciano il centro abitato. Centinaia di civili sono massacrati.
Gli abitanti di Afrin si preparano al peggio, decisi a resistere. Molti si sono offerti di fare da scudi umani contro la furia delle truppe del sultano di Ankara.
Da Afrin è partito un appello alla solidarietà, che è stato raccolto in tutta Europa, dove da tre giorni si susseguono presidi, manifestazioni, attacchi ad ambasciate e consolati turchi e a chi è complice.
A Torino sono andate in frantumi le finestre della Microtecnica, che produce sistemi di puntamento montati sugli elicotteri da guerra Cobra.
Domenica 11 marzo un presidio in piazza Castello si è trasformato in corteo determinato e comunicativo, che ha attraversato via Pietro Micca e via Cernaia. Si è concluso a Porta Susa, dove striscioni e bandiere sono stati appesi alla balconata antistante l’ingresso della stazione.

Ne abbiamo parlato con Paolo – Pachino – Andolina ex miliziano delle YPG in Rojava.

La chiacchierata è stata occasione per una riflessione sul silenzio fragoroso dei media e delle istituzioni sul rischio di un’imminente distruzione dell’esperienza di autogoverno, ecologica, femminista, solidale ad Afrin.
Dopo mesi di corteggiamento alle istituzioni europee e mondiali le strutture dell’autogoverno del Rojava hanno lanciato un appello dal sapore insurrezionale ai solidali e ai curdi della diaspora in Europa.
Abbiamo tentato un veloce ragionamento sul cambio di strategia degli ultimi giorni.

Ascolta la diretta:

2018 03 13 pachino afrin


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