Una guglia fallica a corona di una Dama vergine

Scritto dasu 20 Aprile 2019

Non per svolgere il solito (gradito) ruolo di iconoclasti blasfemi, non perché qualsiasi espressione condivisa emotivamente dall’unanimismo ci risulti come minimo sospetta, ma questa volta al disgusto per l’operazione di distrazione di massa si assomma l’indignazione per lo stravolgimento di ciò che rappresenta una cattedrale e in particolare di cosa significa “quella” cattedrale in termini di nazionalismo, colonialismo, oppressione nei secoli del popolo sottomesso: è stato privilegiato l’approccio romantico legato alla vulgata di Hugo (peraltro – come dice il nostro interlocutore scelto per la sua schietta libertà intellettuale – probabilmente il romanzo del 1831 è  letto nel formato bignami dalla stragrande maggioranza degli astanti raccolti in pianto e preghiera sui quai), dimenticando quanto il gotico sia l’espressione truce dei re capetingi, il loro marchio di fabbrica, lo stile della loro propaganda. Rimuginando queste reminiscenze ci è venuto da chiederci se sia il caso di attribuire a questo monumento, simbolo del potere papista in terra transalpina, il valore che nelle prime ore del falò si voleva leggere come premonizione della Finis Europae.

Con Franco Fanelli, giornalista, insegnante, incisore, abbiamo voluto cercare innanzitutto a quali valori i canali unificati alludevano e la risposta immediata è stata: 13 milioni di visitatori che in qualche modo lasciano soldi al loro passaggio vacuo e scarsamente edotto su ciò che vedono. L’esatto contrario di quello che ci va raccontando Franco in questo percorso in cui ci accompagna facendoci notare dettagli e particolari che il colto pubblico e l’inclita guarnigione tralasciano distratti dai selfie degli scorci visti in tv: e allora cominciamo con la cappella del Guarini, assimilata alla cattedrale parigina per la sola comunanza data dalle fiamme, per valutare i casi in cui ci sono luoghi per ospitare le masse attratte da se stesse ritratte nella funzione di presunte erudite e altre invece inadatte all’orda.

Forse quando l’opera d’arte è nell’epoca della sua riproducibilità tecnica la vera attività di custodia e conservazione passa attraverso la vetrina negata alle truppe cammellate del business espositivo. Ma il discorso benjaminiano ci ha portato a un distinguo interessante tra allegoria e simbolo, laddove la prima figura retorica contiene una sorta di innocenza culturale, mentre l’altra entra nell’ambito della strumentalizzazione: Notre Dame de Paris vuole fortemente essere un simbolo da quasi un millennio, in questa epoca si è posta al servizio delle sponsorizzazioni… e vedrete dove ci ha portato questa analisi.

Ma dove si colloca la seduzione della cattedrale, cosa c’è di intrigante in lei? esiste una spiritualità carnale in quelle forme, in quella idea di arte? o non sarà piuttosto una guglia fallocrate quella immaginata da Macron frutto di un concorso internazionale tra archistar?

Quali sono i bisogni masochisti che rendono attraente la propria (parziale) esposizione ad assorbire traumi, sciagure (meglio se subite da altri, ma rese collettive dalla narrazione): drammi. Di nuovo l’eredità romantica che riemerge dalle ceneri… essere testimoni della tragedia di Esmeralda e Quasimodo… non protagonisti, ma essere presenti magari a commentare banalmente il proprio pathos assistendo all’evento.

Insomma con i commenti di Franco Fanelli ci siamo divertiti con un po’ di aria fresca rispetto a quella stantia dei servizi retorici dei media mainstream, reclinati sulle ceneri di un falso secentesco.

 

Per una cattedrale vivace raffinata e aristocratica. Cioè un’altra


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