Beni comuni: una prospettiva da Napoli
Scritto dainfosu 14 Febbraio 2024
A partire dal periodo della prima giunta De Magistris (2012) viene fatto risalire l’inizio di un dialogo fra istituzioni e spazi autogestiti. Questo avviene in concomitanza con la campagna per il referendum sull’acqua bene comune, nell’ambito della quale il Comune istituisce un Laboratorio-Napoli per una costituente dei beni comuni. Le delibere dei beni comuni, che riguardavano spazi del Comune o dello Stato, a partire dal 2015, definiscono “beni comuni” alcuni spazi di Napoli, in particolare l’ex Asilo Filangieri, il Giardino Liberato, lo Scugnizzo Liberato, l’Ex lido Pola, il Santa Fede Liberato. In seguito a questo, ci furono delle spaccature all’interno di questi spazi, si ragionò ampiamente sul fatto, per esempio, di dover rendere conto alle istituzioni di un regolamento d’uso degli spazi, di dover attaccare le utenze, di dover inserire la figura di un custode dello spazio e rispettare gli orari concessi, così come di dover fornire un elenco dei nomi di chi possiede le chiavi degli spazi. Nonostante alcune divisioni interne, è in particolare nelle pratiche di lotta, mutuo aiuto e solidarietà, che vivono insieme le esperienze “legalizzate” e quelle che hanno scelto di non intraprendere nessun processo di legalizzazione. E’ stato questo il caso della distribuzione dei “pacchi” alimentari durante il lock-down, nell’ambito della campagna “tu mi chiudi, tu mi paghi”.
Abbiamo sentito in diretta una compagna di Napoli oggi, 14 febbraio 2024, durante la mattinata informativa di Radio Blackout: