Polizia e razzismo di Stato

Scritto dasu 24 Ottobre 2024

A seguito del rapporto dell’ECRI in cui si condanna per razzismo la polizia italiana, assistiamo con fatica allo stupore del presidente della Repubblica. Sappiamo invece che non c’è niente da stupirsi, la polizia è razzista e agisce in maniera differente su base etnica. Questo avviene sia in merito ad atti criminali, sia in modo predittivo: in questa società, ossessionata dalla sicurezza e dal decoro, le forze repressive si dotano di parametri secondo i quali preferibilmente fermare, controllare e schedare le persone in base alla loro appartenenza etnica, perché per una perversa ragione di rappresentazione, questi gruppi etnici vengono percepiti come più potenzialmente pericolosi. Di conseguenza,  per un cittadino con cittadinanza estera o una persona di seconda generazione, è molto più facile essere fermata per strada dalle forze di polizia.

Ad essere sotto imputazione nel rapporto dell’ECRI è la discrezionalità delle forze di polizia nell’adottare dei pregiudizi di tipo razzista nei fermi delle persone, ma questo è un fatto sistemico, non dichiarato. Il senso della denuncia dell’ECRI potrebbe essere quindi, nella promozione di un processo di riflessione collettiva, un tentativo di far emergere una coscienza condivisa e ampia di meccanismi, che oggi sono strutturali, ma non sono riconosciuti. Non è riconosciuto infatti, che i meccanismi dietro le azioni della polizia siano razzisti: parlare di ‘borseggiatrici rom’ non è qualificato come razzismo, l’islamofobia non è qualificata come razzismo. C’è tutto un universo di riferimento simbolico, che sottende agli atteggiamenti e al sentire dell’opinione pubblica, avvelenata dal primo termine vu cumprà di molti anni fa, al lager in Albania oggi.

Ne parliamo ai microfoni dell’informazione di Radio Blackout con Sabina Uberti-Bona, dottoranda in sociologia da Milano:

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