Verso una nuova stagione di resistenza nelle università americane
Scritto dainfosu 23 Aprile 2025
In questa intervista con una studentessa della New York University proviamo a fare il punto su quella che viene raccontata come l’offensiva di Trump contro le università americane – una offensiva che sembra colpire in modo particolarmente violento i settori più militanti e politicizzati degli studenti, dei docenti e del personale universitario. La strategia neo-con si articola in due direzioni, entrambe funzionali al ricatto politico: da un lato, il drastico taglio ai finanziamenti destinati alla ricerca, soprattutto quella che si occupa di temi invisi all’arco reazionario come la disinformazione o la giustizia sociale; dall’altro, una stretta repressiva sui visti degli studenti internazionali. In questo secondo caso, l’amministrazione Trump ha avviato una prima ondata di revoche arbitrarie, in cui il solo fatto di comparire nei database della polizia – anche per infrazioni minime come una multa per eccesso di velocità o l’assenza di un biglietto in metropolitana – è sufficiente per giustificare l’espulsione. Le deportazioni colpiscono così anche studentx privx di qualsiasi esperienza di militanza e coinvolgimento politico. Una seconda ondata di revoche dei visti sembra stia adesso assumendo connotazioni più ideologiche: i visti vengono revocati in base a segnalazioni della condotta degli studenti sui social media, e a chi ha partecipato alle mobilitazioni politiche, come nel caso di Mahmud Khalil, arrestato e recluso in Louisiana in attesa di deportazione per aver organizzato manifestazioni a sostegno della Palestina.
In questo contesto, gli atenei non possono essere considerati semplici spettatori passivi – o addirittura vittime – della strategia repressiva trumpiana. La criminalizzazione della militanza studentesca, in particolare di quella legata alla questione palestinese, ha preceduto l’attuale presidenza, ed è stata legittimata proprio da quelle stesse istituzioni accademiche che oggi denunciano l’ingerenza del presidente Trump nei loro «affari interni». Sono state infatti le università a permettere l’ingresso della polizia nei campus quando questi erano occupati dalle accampate per la Palestina, a tollerare arresti arbitrari e pratiche di schedatura politica. Questo atteggiamento ha di fatto anticipato e reso possibile la retorica reazionaria oggi adottata a livello federale, offrendo al potere esecutivo strumenti e linguaggi già collaudati.
In questo scenario e dopo un primo momento di shock, i collettivi per la Palestina e le militanze studentesche americane si stanno organizzando per reagire. Alla NYU, ad esempio, l’esperienza delle accampate in solidarietà con Gaza dell’anno scorso ha modificato radicalmente la percezione collettiva dell’università, trasformandola da semplice luogo di passaggio in uno spazio di connessione e organizzazione politica: è nata così una comunità resistente, capace adesso di fare fronte comune di fronte alla crescente repressione. Ed è proprio grazie a questi legami che molti e molte stanno tornando a mobilitarsi in quella che sembra annunciarsi come un’altra tenace battaglia sui campus americani.
Ne abbiamo parlato con una compagna studentessa della New York University.
Alcuni link utili per approfondire:
0) Pagina instagram del collettivo Students for Justice in Palestine della NYU
2) Press release from NYU Sanctuary
3) NYU law professors criticize Trump
4) Resisting repression: what’s next for the student fight for Palestine?
5) Che cosa significa essere definita persona non grata dalla mia università