Il lavoro bracciantile ed il lavoro sessuale/riproduttivo: contropiano dalle campagne

Scritto dasu 2 Giugno 2014

donne lavoroIntorno a Torino, da Saluzzo a Canelli, stanno per iniziare le stagioni di raccolta. In tutta Italia, da nord a sud, le campagne rappresentano il territorio in cui si concentrano grandi quantità di braccianti, lavoratori e lavoratrici agricole che garantiscono l’arrivo di enormi quantità di frutta e verdura sugli scaffali della Grande Distribuzione Organizzata. I luoghi in cui vivono e lavorano i braccianti – in larghissima parte migranti ed in prevalenza provenienti da Africa ed Europa dell’Est – sono da tempo conosciuti: campi, ghetti, baraccopoli, casolari in rovina, ai margini dei centri urbani di provincia. Spesso, collettivi di solidali ed associazioni hanno denunciato le condizioni di sfruttamento lavorativo, ricatto e discriminazione a cui i lavoratori agricoli sono sottoposti, anche grazie alla presenza di differenti “forme” di caporalato, secondo schemi che si ripetono.

Questa mattina con Irene, ricercatrice presso l’Università di Bologna e attivista della rete Campagne in Lotta, abbiamo cercato di raccontare anche un altro mondo, strutturalmente collegato a quello appena descritto, ma di cui non si sente mai parlare. Seguendo la divisione tipica dell’organizzazione del lavoro capitalista, anche all’interno dei “campi” di raccolta e di vita le donne svolgono la maggior parte del lavoro sessuale e riproduttivo.

Emergono così molti aspetti – invisibili ed invisibilizzati – legati alla condizione vissuta dalle donne “impiegate” nelle zone di raccolta agricola, in particolare africane e provenienti da Romania e Bulgaria. Donne che, oltre a vivere la “consueta” razzializzazione/etnicizzazione del lavoro, come accade per i lavoratori migranti, incarnano anche la razzializzazione del lavoro sessuale e riproduttivo. In moltissimi casi sono sottoposte a forme di sfruttamento e ricatto sessuale da parte di padroni, caporali, o, più in generale, dei “datori di lavoro”. A questa violenza è funzionale la condizione di isolamento vissuta da queste donne (nei ghetti, nelle baraccolpoli, così come nei casolari in cui vivono precariamente), che rende molto complesso riuscire ad avere contatti con loro, oltre che includere la questione del lavoro sessuale/riproduttivo nella costruzione delle rivendicazioni bracciantili.

Ascolta l’intervista

irene

 


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