L’Egitto in cui è stato assassinato Giulio Regeni

Scritto dasu 8 Febbraio 2016

A 5 anni dalla rivoluzione di Piazza Tahrir, da una mobilitazione sociale enorme in tutto il paese e, a poco più di due anni dal colpo di stato del generale Al-Sisi, la popolazione egiziana si trova a vivere un periodo di fortissima repressione politica e violenza poliziesca. La terribile vicenda di Giulio Regeni, ricercatore ucciso pochi giorni fa dopo essere stato sequestrato e torturato fino alla morte da un gruppo “funzionale” al terrore di stato, sia questo più o meno identificabile e riconducibile all’apparato ufficiale o completamente clandestino, ricorda all’Italia e in generale agli stati amici dell’ “alleato” Al-Sisi, che in Egitto c’è una dittatura violentissima che mette in carcere migliaia di oppositori, attivisti, attiviste, li sequestra, li fa scomparire. Molto si è parlato in questi giorni dell’attività di ricerca di Giulio, dell’interesse per le condizioni di lavoro nel paese, delle organizzazioni sindacali indipendenti, di uomini e donne che da anni continuano a lottare contro un apparato di fatto immutato e molto simile a quello che era stato fatto cadere con Mubarak nel 2011. Con “stupore” si è capito, ora dopo ora, che la sua vicenda è invece molto simile, del tutto simile, a quella di centinaia e forse migliaia di ragazzi e ragazze, oppositori e attivisti, i cui corpi non verranno mai ritrovati.

Abbiamo parlato questa mattina dell’Egitto attuale, delle sue dinamiche politiche, sociali ed economiche, delle lotte che non vengono comunque fermate, della ricerca di condizioni più giuste di vita e di lavoro da parte di una popolazione che sta pagando un prezzo altissimo in termini di repressione e violenza. Ascolta il contributo molto interessante e articolato di Iside Gjergji, ricercatrice presso l’Università Ca’ Foscari:

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