Stop al rientro dei Rohingya

Scritto dasu 16 Novembre 2018

Assistiamo all’odierna odissea dei Rohingya, che da secoli si vedono spostare confini nazionali attorno alla loro regione, facendoli divenire volta a volta sudditi di sua maestà britannica e dell’imperatore nipponico, alla mercé dei militari del Myanmar o delle dinastie indiane, di commercianti arabi o affaristi portoghesi (come leggiamo dalla riflessione su di loro pubblicata da Emanuele Giordana nel suo libro Sconfinate); a seconda dell’interesse predatorio dell’occupante di turno sono bengalesi o birmani, ma da sempre vivono in Rakhine, ora di fronte al terminal petrolifero, ma anche su territori ambiti dai buddisti che usano la loro religione musulmana per cacciarli in una operazione da manuale di landgrabbing.

Dopo gli accordi seguiti alla fuga indotta dalle persecuzioni del regime birmano, in seguito alle manifestazioni della maggioranza buddista e mai contrastate da Aung San Suu Kyi (a cui sono state ritirate le onoreficenze da parte di Amnesty proprio in questi giorni, in cui è stata pesantemetne apostrofata da Pence nella sede ufficiale dela riunione dell’Asean), dopo l’annuncio che sarebbero iniziati i “rimaptri” oggi, dopo l’allarme lanciato dall’Unhcr prima e da Amnesty poi, l’operazione di oltrepassamento del ponte di Ghumdhum dei primi 150 tra i poco più di 2000 selezionati è stata sospesa dalle autorità bengalesi, nonostante il peso di un milione di rifugiati sul piccolo paese poverissimo sia impossibile da sostenere. Lo stop al rientro è venuto perché non ci sono le condizioni per assicurare l’incolumità dei rohingya in territorio birmano.

Ne abbiamo parlato proprio con Emanuele Giordana, che ha riportato la notizia su “il manifesto” di oggi. Poi il discorso è fatalmente scivolato sull’altra notizia odierna relativa a un altro genocidio, datato anni Settanta: quello perpetrato dai Khmer rossi in Cambogia, poiché un tribunale cambogiano ha condannato all’ergastolo gli ultimi due sopravvissuti dei “fratelli” di Pol Pot: il 92enne Nuan Chea, l’ideologo, il “fratello numero due” e Khieu Samphan riconosciuti colpevoli di genocidio e crimini contro l’umanità per il massacro delle minoranze vietnamita e musulmana.

Emanuele ci ha aiutato a ricostruire i fatti di quasi mezzo secolo fa e sull’onda del ricordo alla ricerca di addentellati comuni e differenze patenti tra i due genocidi si è finito con l’evocare un altro massacro: quello dei militanti del più numeroso partito comunista dell’area all’inizio degli anni Sessanta: l’Indonesia di Sukarno sterminata dal fantoccio degli Usa Suharto.

Ecco l’intervento sul filo della cronaca e della storia di Emanuele Giordana:

Birmania e Cambogia, mezzo secolo di genocidi nel sudest asiatico

 

 

 


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