Il capolinea di Putin può essere solo la Siberia

Scritto dasu 5 Febbraio 2021

Yurii Colombo è un reporter che alle manifestazioni di questo russo gennaio esasperato era presente mentre gli “omon” giravano ad asciugarsi la gente, che una volta presa rischiava il posto di lavoro, metteva in gioco l’esistenza… e questo significa che non pensano di avere più nulla da perdere a scendere in piazza a prendersi le manganellate a -35°Celsius. Allora la prima domanda che ci è venuta alle labbra è cosa ha visto aggirarsi per le città e la seconda riguarda invece le periferie, la provincia; questa è forse la nota che può suonare il de profundis al sistema putiniano, perché Pietroburgo e Mosca è nell’ordine delle cose che non si facciano pregare a manifestare (soprattutto giovani che sono cresciuti putiniani, perché non hanno conosciuto altro, ma anche infra35enni) e a reagire alle cariche e mirando a liberare i detenuti; il sistema viene messo in discussione alle sue basi ed è ancora più colossale nel momento in cui a farlo è una società allenata a sostenere e rispettare le istituzioni – un retaggio sovietico introiettato da tutti; persino in un periodo di pandemia non avversata minimamente in questa fase dalle strutture statali… e tutto è aperto, con un numero di morti da triplicare rispetto ai 70.000 ammessi. Ma stavolta sono le piazze di Vladivostok, delle campagne: la grande novità non sono le città liberal, ma le decine di città siberiane e del Nord della Russia con motivazioni che vanno al di là della corruzione. Si tratta di 20 milioni di persone che vivono con 300 euro e sono incazzati neri… Navalny è solo il detonatore di una bomba nucleare: infatti è da sempre che in Russia c’è il mito del leader (da Ivan il Terribile ejzensteiniano a Vladimir l’Avvelenatore)

 
“I disperati del Putin declinante”.
 

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