La promessa di un futuro radioso è sempre dietro l’angolo. Al tempo della crisi ambientale si sfoga nella speranza che dal cappello del soluzionismo tecnologico esca il magico coniglio salvifico che possa traghettare la carcassa della rivoluzione industriale verso un orizzonte tutto green e digitale. Il sottofondo di questo sogno è l’allegro motivetto del business as usual, una coperta troppo corta che ormai si è ridotta ad un fazzoletto logoro.
Questa promessa l’abbiamo conosciuta bene con la sbornia dei TAV, MOSE, TAP e tutto il caravan serraglio di grandi opere che avrebbero dovuto riportare l’Italia e l’Europa ad accarezzare il proprio passato coloniale.
Ed ecco che troviamo titoli nuovi come “Stanno per arrivare i primi treni a idrogeno in Italia, saranno un orgoglio piemontese!” al fianco dei soliti sospetti: Eni e Snam. La prima portata a processo insieme all’attuale amministratore delegato, Claudio Descalzi, e l’ex numero uno del gruppo, Paolo Scaroni. Cuore del processo una presunta tangente da 1,092 miliardi di dollari che sarebbe stata versata da Eni e Shell per aggiudicarsi la concessione da parte del governo della Nigeria dei diritti di esplorazione sul giacimento petrolifero offshore Opl24. La seconda, snam, vera protagonista della millantata corsa all’idrogeno in Italia.
Per trovare una bussola tra queste storie vecchie e promesse nuove abbiamo intervistato Elena Gerebizza di Recommon che ha collaborato alla traduzione in italiano del rapporto “La montatura dell’idrogeno: favola dell’industria del gas o racconto dell’orrore sul clima?“