Le responsabilità italiane nell’addestramento delle RSF sudanesi

Scritto dasu 13 Maggio 2023

Un conflitto che passa per essere una catastrofica e localizzata prova di forza tra due signori della guerra per il controllo di territorio, popolazione e forza armate nasconde ovviamente trame di interessi stratificati multipolari che vanno ben oltre i netti confini politici dello stato sudanese. In compagnia di potenze regionali e internazionali come Arabia Saudita, Emirati, Cina, Russia e altre, l’Italia ha da parte sua la delega europea alla promozione dell’esternalizzazione del confine sul continente africano: questa volta si tratta del Sudan, porta di accesso alla Libia per i paesi dell’Africa orientale.

In un’intervista ad agosto del 2022 il generale golpista Dagalo confermava ciò su cui Il Fatto Quotidiano e Africa Express avevano fatto luce: il coinvolgimento iniziato a Gennaio dello stesso anno dell’AISE nell’addestramento dell’RSF (ex Janjaweed), inaugurato da diversi viaggi compiuti dal colonnello dei servizi Antonio Colella specializzato in cyber security e poi dal direttore di allora dell’agenzia Giovanni Caravelli. In perfetta continuità con il memorandum d’intesa firmato nel 2016 tra Franco Gabrielli (allora capo della Polizia e degli affari di pubblica sicurezza, governo Renzi) e le autorità militari sudanesi per la “prevenzione e contrasto in materia di immigrazione clandestina, terrorismo e traffico di droga” (un commento di ASGI del memorandum la puoi leggere qui)  La solita retorica che l’Italia ha contribuito a rendere realtà inviando istruttori, mezzi e droni. Ne abbiamo parlato con Massimo Alberizzi, direttore di Africa Express che ne ha scritto lungamente in diversi articoli.

 


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