La CEDU e i rom: casa per tutti?

Scritto dasu 1 Aprile 2015

Questa mattina il quotidiano La Stampa in merito alla decisione della Corte Europea dei Diritti dell’uomo sullo sgombero del campo rom di Lungo Stura Lazio titolava “Via libera allo sgombero. ‘Ma ai rom va data una casa’”.
Lo scorso 19 marzo la CEDU aveva imposto al Comune di Torino la sospensione momentanea dello sgombero del campo. Il ricorso di cinque famiglie era stato accolto, perché il Comune non offriva alternative abitative, nonostante la presenza di minori e persone malate.

Il Comune ha replicato offrendo in fretta e furia una casa a due delle cinque famiglie, e dichiarando una delle altre inadatta, perché il “capofamiglia” sarebbe pregiudicato. I figli, secondo il comune di Torino, in strada, perché il padre li ha resi indegni di avere una casa.
Nella sua sentenza la CEDU chiede di segnalare altri casi e presto partiranno altri ricorsi. Il vicesindaco Tisi da invece un’interpretazione restrittiva della sentenza, ritenendo che la CEDU si riferisca solo alle “famiglie in cui ci siano soggetti vulnerabili”.
Di fatto Tisi tenta di sottrarsi alle proprie responsabilità: in lungo Stura Lazio, tra topi ed immondizia, vivono centinaia di bambini, che rischiano di perdere persino la miserabile baracca in cui vivono ed essere gettati in strada.
La battaglia legale andrà avanti nelle prossime settimane tra ricorsi e controricorsi. Difficile dire se Tisi, che si era impegnata a spianare il campo entro il 31 marzo, rimanderà o deciderà di procedere comunque.
Questa vicenda, le contestazioni degli antirazzisti al convegno dei rom senza i rom del 19 marzo, la lettera di denuncia degli abitanti di Lungo Stura Lazio, hanno cominciato ad incrinare la bella vetrina della “città possibile”, il progetto voluto dall’amministrazione targata PD, per mettere a frutto i cinque milioni di euro stanziati da Maroni – allora ministro dell’Interno – contro l’emergenza rom.

L’amministrazione comunale ha messo in piedi un’operazione in cui buoni affari e immagine andavano a braccetto.

L’operazione “la città possibile” era un ingranaggio ben oliato che funzionava a puntino. Duecento rom meritevoli di “emergere” dal campo di Lungo Stura Lazio, il più grande insediamento spontaneo d’Europa, piazzati temporaneamente in strutture di social housing, erano il fiore all’occhiello con il quale Torino si vendeva come prima città italiana ad aver cancellato la vergogna dei campi. Peccato che l’operazione, costata 5.193.167,26 euro, abbia riempito le casse di una bella cordata di cooperative ed associazioni amiche – AIZO – Stranaidea – Liberitutti – Terra del Fuoco – Croce Rossa – , mentre ai rom “meritevoli” ha offerto due anni sotto ad un tetto, purché rispettino regole di comportamento a metà tra la caserma e l’asilo.

Il nocciolo dell’operazione è stata l’arbitraria separazione degli abitanti del campo in “meritevoli” ed “immeritevoli”, “civilizzati” e “barbari”, “adatti” ed “inadatti” ad una condizione abitativa autonoma e dignitosa. Ai primi – appena 250 persone a fine gennaio 2015 – l’offerta di una casa temporanea o la collocazione in sistemazioni di housing sociale, o ancora il rimpatrio “volontario” in Romania. Va da se che quando i soldi finiranno le cooperative cercheranno altri business, mentre i rom “meritevoli” finiranno nuovamente in strada, perché non avranno i soldi per pagare un affitto vero.
Come se non bastasse la struttura di corso Vigevano dove sono state ospitate alcune famiglie che hanno firmato il “patto di emersione” dal campo, gestita dal’associazione AIZO di Carla Osella, è di proprietà di una società controllata da Giorgio Molino, il ras delle soffitte, affittate a prezzi esorbitanti ad immigrati con problemi di documenti. Inutile dire che i locali di corso Vigevano non hanno l’abitabilità e quindi, chi ci vive non potrà mai ottenere la residenza.
Agli altri seicento abitanti rimasti in lungo Stura il Comune di Torino ha offerto la strada o la deportazione.

Duecento tra adulti e bambini sono stati sgomberati il 26 febbraio. 150 persone sono state rastrellate mercoledì 18 marzo, portate in questura, denudate e perquisite. Alla gran parte sono stati consegnati fogli di via che impongono di lasciare il paese entro un mese, due sono stati portati al CIE, da dove sono stati deportati.
L’operazione si sarebbe dovuta concludere il 31 marzo. I ricorsi presentati dall’avvocato Gianluca Vitale hanno rallentato l’operazione, ma è provabile che, appena la bufera sarà passata il comune probabilmente darà il via allo sgombero definitivo del campo.
Nel frattempo si moltiplicano le
assemblee, in cui i rom hanno cominciato ad autorganizzarsi, perché al prossimo sgombero nessuno venga più lasciato solo di fronte alle ruspe, alla polizia, ai vigili urbani.

Ascolta la diretta con Gianluca Vitale:

rom_ricorso

 


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