Gela. In difesa del petrolchimico: costi quel che costi

Scritto dasu 26 Gennaio 2016

Dopo sette giorni di blocchi operai, Gela si ferma per lo sciopero generale proclamato dal Consiglio comunale in difesa della raffineria dell’Eni. Al corteo hanno partecipato oltre cinquemila persone. In testa i gonfaloni dei sindaci e i consiglieri comunali con le fasce in segno di lutto. Lo striscione d’apertura recita “Gela non deve morire, senza lavoro non c’è dignità”.

Il sindaco di Gela Domenico Messinese denuncia il mancato rilascio delle autorizzazioni ministeriali per la riconversione degli impianti che, abbandonato il petrolio per scelta strategica, dovrebbe portare alla produzione di bio-carburanti, grazie a un protocollo che prevede investimenti Eni in Sicilia, confermati ieri sera dall’azienda, per 2,2 miliardi di euro.

Assieme ai lavoratori hano sfilato studenti, professionisti, pensionati, sindaci dei comuni del comprensorio e preti.
Tutti i negozi e le botteghe artigiane hanno tenuto abbassate le serrande.

Sullo sfondo, sia pure meno che in passato, il disastro ambientale, l’inquinamento delle falde, le percentuali stellari dei tumori. Nel ricatto tra salute e lavoro ancora una volta in primo piano c’è il lavoro. Costi quel che costi. Anche la vita.

Ne abbiamo parlato con Pippo, compagno ragusano, che da anni segue le vicende del Petrolchimico, la fabbrica che ha avvelenato la città, ricordando la mera bonifica potrebbe essere un’opportunità di lavoro non devastante.

Ascolta la diretta:

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