Macedonia: scandali, risiko e rivoluzioni (colorate)

Scritto dasu 22 Aprile 2016

Si infiamma nuovamente la crisi politica in Macedonia, sull’onda lunga delle proteste antigovernative a Skopjie risalenti al maggio 2015. La decisione del presidente della repubblica, Gjorge Ivanov, di graziare i politici coinvolti nelle indagini relative al cosiddetto “scandalo intercettazioni”, garantendo l’amnistia al primo ministro Nikola Gruevski (VMRO-DPMNE),  ha recentemente portato nelle strade della capitale varie migliaia di manifestanti. Si tratta di un evento storico in un territorio abitato da 2 milioni di abitanti. Tra il 13 ed il 15 aprile non sono mancati scontri violenti: a suon di molotov i manifestanti hanno rotto le vetrate e dato fuoco ai mobili degli uffici della presidenza, chiedendo le dimissioni di Ivanov. La piattaforma civica Protestiram, anima delle proteste fin dall’anno scorso e le cui rivendicazioni sono per molti versi convergenti a quelle del partito di opposizione SDSM guidato da Zoran Zaev, ha annunciato che le mobilitazioni proseguiranno. In questo contesto, il 15 aprile sono state convocate le elezioni legislative per il 5 giugno, di fatto imposte dall’UE con il calcolo che saranno vinte dalle “opposizioni democratiche”.

In realtà, lo “scandalo intercettazioni” non è che l’epifenomeno di ciò che molti considerano un tentativo di “regime change” di matrice euro-atlantica, analogamente a quanto avvenuto in altri paesi della regione, teatro delle cosiddette “rivoluzioni colorate” tanto care a George Soros. Le mire di destabilizzazione interna alla Macedonia da parte di Stati Uniti ed UE sono infatti in atto da tempo e sfruttano le profonde tensioni inter-etniche che attraversano la popolazione, per un quarto composta da una minoranza albanese. In proposito va ricordato un episodio avvenuto nel maggio scorso a Kumanovo, città di frontiera con il Kosovo ed a 30 km da Skopjie: un gruppo armato composto da miliziani albanesi, senza apparente storia politica, ha fronteggiato polizia ed esercito macedone, uccidendo otto militari e provando a costringere la popolazione locale a collaborare, ottenendo però un rifiuto. Tutto era pronto perché gli albanofoni inscenassero, il 17 maggio nella capitale, una manifestazione che si sarebbe trasformata in una “Maidan” sul modello di Kiev.

Guardare alle trasformazioni ed alle mobilitazioni in atto sul territorio macedone è quanto mai urgente. Questo territorio si trova infatti, da un lato, nel mezzo del conflitto d’interessi tra l’Unione europea, spalleggiata dall’amministrazione Obama, e la Russia di Putin, relativamente alla costruzione del nuovo gasdotto “Turkish stream”, che dovrebbe raggiungere l’Europa centrale passando non più per l’Ucraina, ma attraverso la Turchia, la Grecia e, appunto, la Macedonia. Dall’altro, si trova al centro della riconfigurazione dei confini europei e relative politiche di controllo e repressione, avendo rappresentato un corridoio di transito per milioni di profughi fino alla recente chiusura della frontiera con la Grecia, dove a Idomeni sono oggi bloccate migliaia di persone provenienti da Siria, Afghanistan, Pakistan e Iraq. E’ di ieri la notizia che è stato ucciso Mohammed Josef, 39 anni, curdo siriano, colpito il 18 aprile alla testa da un mezzo della polizia che stava facendo manovra durante una delle tante operazioni repressive contro i migranti che hanno trasformato i binari della ferrovia tra i due Stati in una tendopoli di fortuna.

Ascolta la diretta con Milena, compagna che vive a Bologna:

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