Roghi e “campizzazione” della forza lavoro

Scritto dasu 27 Gennaio 2017

Nella tarda serata del 23 gennaio un ennesimo incendio è divampato a Borgo Mezzanone, vicino a Foggia, coinvolgendo alcune baracche della cd. “Pista”, la baraccopoli sorta anni fa lungo la pista di decollo di un aeroporto militare dismesso, in cui vivono circa 500 migranti e che sorge nei pressi del CARA (Centro d’Accoglienza Richiedenti Asilo). Ventiquattr’ore prima le fiamme avevano avvolto una parte della tendopoli di San Ferdinando, vicino a Rosarno, provocando tre feriti, uno dei quali grave. Ad inizio dicembre un incendio nel cd. “Ghetto dei Bulgari”, vicino a Borgo Tressanti, aveva provocato la morte di  un migrante, mentre solo qualche giorno prima un altro grande rogo, il secondo in un anno, era divampato nel noto Grand Ghetto, nei pressi di Foggia.

 

Incendi che non vanno letti come “incidenti”, perchè dietro alle fiamme ci sono precise responsabilità politiche di chi ha interesse a mantenere migliaia di lavoratori migranti in una condizione di iper-precarietà abitativa. I ghetti di Stato che proliferano da Nord a Sud, nelle campagne come nelle città, rappresentano infatti un lucroso business, oltre che un efficace dispositivo di contenimento e filtraggio di manodopera migrante a bassocosto (nel settore agricolo, nel comparto della logistica e dei trasporti, in primis). Gli incendi sono la diretta conseguenza di quel regime di “campizzazione” della forza lavoro che potrebbe estendersi a fasce sempre più ampie della popolazione.

 

Questa mattina abbiamo parlato degli incendi, della condizione abitativa dei braccianti e delle mobilitazioni che stanno portando avanti con una compagna della Rete Campagne in Lotta:

IncendiCampi

 

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