Africa in ebollizione: dégage et dégagez

Scritto dasu 13 Aprile 2019

 

In queste giornate in cui l’Africa si trova al centro dell’attenzione internazionale e si prende persino degli spazi sulle prime pagine dei quotidiani abbiamo pensato che fosse doveroso ampliare lo sguardo che normalmente riserviamo al continente, producendo un ideale viaggio che prende le mosse dagli eventi della più stretta attualità del Sudan e quindi passando per il Sahel, seguendo l’itinerario di traffici di merci e umani giungere in Libia attraverso le lotte tribali, diversamente articolate e declinate secondo i localismi e le realtà socio-economiche di quella striscia di territorio che passa dal Sahel al Sahara, giungendo infine nell’Algeria del dopo  Bouteflika. Per trovarla assimilabile alle pulsioni di liberazione che caratterizzano le giornate della cacciata di al Bashir dopo 30 anni di potere.

 

In questa sorta di viaggio ricognitivo in giro per l’Africa abbiamo preso le mosse dalla situazione più incandescente: quella sudanese in evoluzione [successivamente a questa nostra chiacchierata con Cornelia Toelgyes si è dimesso da leader dei golpisti Ahmed Awad Ibn Auf, dopo sole 24 ore di potere, in seguito alle proteste della piazza] dove un despota islamista è al potere da quasi 30 anni, portatovi da Usa, sauditi e Francia e che la condizione economica a seguito della secessione del Sud Sudan ha portato alla deposizione da parte del suo sistema militare nel tentativo di perpetuarsi, nonostante le proteste quotidiane dei dimostranti che ininterrottamente da 4 mesi manifestano la loro volontà di cambiamento. Abbiamo fatto il punto a venerdì mattina con la redattrice di Africa ExPress, ma soprattuto abbiamo cercato di analizzare attraverso quale percorso si è arrivati fin qui (composizione delle masse di protesta, loro dislocazione territoriale, flussi migratori, condizionamenti dall’estero), cercando di capire le molteplici e oscure possibili evoluzioni di una situazione molto incerta. Per ora sarà difficile che al-Bashir possa venire estradato all’Aja, dove è già stato condannato per crimini di guerra, stupri e massacri

 

Siamo rimasti nella fascia del Sahel, rivolgendoci a Luca Raineri, ricercatore all’Università Sant’Anna di Pisa e analista dell’Ispi, per sviscerare che tipo di conflitti dal punto di vista tribale si scatenano soprattutto in quelle nazioni dove il controllo politico è debole (segnatamente il Mali ne è un esempio palese); questi conflitti si intersecano con la politica nazionale e internazionale, creando situazioni difficilmente solvibili anche per la eterogeneità dei sistemi di riferimento, per quanto duttili e adattabili essi siano: infatti il più delle volte la violenza si scatena per motivi esterni alle contrapposizioni claniche e solo in seguito vengono ascritte ai dissidi etnici, dandogli corpo. Poi ogni nazione ha meccanismi propri e quindi Luca Raineri ci ha accompagnato attraverso il Ciad (dove il regime si basa su un’etnia particolare), la Mauritania (dove la polarizzazione etnica non si capisce prescindendo dalla costruzione del regime, che ammette la schiavitù perché fondata su un modello coloniale), attraverso paesaggi saheliani dove gli stati appoggiano internamente su classi sociali aristocratiche, più che fondate su singole etnie,  fino ad arrivare in Libia, in cui l’elemento tribale è stato soggetto a pressioni e modifiche lungo la storia del secolo scorso, destrutturato fino alla fine di Gheddafi, quando è emerso come protagonista, con le conseguenze illustrateci da Luca, arrivando a Haftar, che si fida solo dei suoi famigliari sirtini:

 

Concludiamo il nostro viggio nell’Africa settentrionale in Algeria con la guida di Karim Metref, che avevamo interpellato varie volte sul suo paese per i più svariati eventi e sempre rimaneva un qualche sospeso dovuto a questa ingombrante presenza di Bouteflika. Rimosso questo peso, rimane il suo sistema e di nuovo – come in Sudan– una popolazione insorta in tutto il paese che richiede un cambiamento reale e non è soddisfatta delle semplici elezioni fissate per il 4 luglio da un potere che si presenta in continuità e costituito dai soliti militari che hanno seguito, appoggiato e diretto il presidente da loro deposto per mantenere il controllo.

Qui son gli apparati e gli oligarchi, i due partiti al potere: i blocchi di cui la popolazione vuole il dégagez (come si legge sul cartello qui a fianco), la cacciata. Un sostegno quello del sistema che ha bisogno di lobbies, sempre le stesse, di clan e di militari. Karim ci ha riassunto precisamente e sinteticamente il percorso compiuto da Bouteflika e dalla sua famiglia: figure secondarie ma sempre presenti.

E poi ci ha raccontato con precisione la composizione dei milioni di manifestanti pacifici e eterogenei. L’obiettivo comune dei 6-7 milioni di manifestanti è costituire un’assemblea che possa gestire le questioni reali del paese… e tutto il paese è sceso in piazza uniformemente. Anche l’economia (compreso il ruolo cinese) e l’industria del petrolio sono entrati nel raconto ad ampio raggio di Karim, toccando il rischio che lo stato si indebiti nuovamente, anche a seguito delle prebende che si devono distribuire per mantenere il controllo del potere, come le infrastrutture imposte per foraggiare lobbies, i progetti inutili da bloccare e riconvertire. Il discorso di Karim è stato a tuttotondo e ne è sortito un affresco dell’Algeria preciso e lucido:

 


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