Sudan: la repressione militare foraggiata dai sauditi

Scritto dasu 9 Giugno 2019

L’orrore dei cadaveri gettati nel Nilo è l’immagine che sancisce la svolta repressiva dei militari, che erano puntello del regime di Bashir e sono foraggiati da Emirati, Sauditi e Al Sisi, il peggio dei reazionari dell’area. Il computo dei morti della strage di lunedì 3 giugno 2019 si ferma a 108; i militari hanno chiuso tutti i varchi e cominciato a sparare sul sit-in dei dimostranti che da due mesi chiedono il passaggio del potere ai civili per organizzare elezioni che mancano da 30 anni nel paese schiacciato tra Egitto (e l’evoluzione degli ultimi eventi somigliano alla presa del potere di Al-Sisi), Sahel (e le pulsioni che da lì derivano) e il corno d’Africa (e il leader etiope si è proposto come mediatore senza ancora riuscire a portare le parti al negoziato). La strage è stata rubricata dalle parole del premier, dicendo che «le operazioni per ripulire l’area ci sono sfuggite di mano». Un momento molto delicato per l’imponente movimento che è riuscito a cacciare Al-Bashir e due delle figure più eminenti dell’opposizione alla giunta militare sono stati arrestati subito dopo aver incontrato il premier. L’ennesima prova di forza dell’esercito sudanese è giunta dopo che i colloqui fra il Consiglio militare di transizione (Tmc) e le sigle dell’opposizione racchiuse nel cartello delle Forze per la libertà ed il cambiamento (Ffc) si sono interrotti, provocando il deragliamento del difficile processo di transizione del potere avviato dopo la deposizione del presidente Omar al Bashir e la salita al potere dei militari del Tmc: il consiglio ha cancellato tutti gli accordi a cui si era pervenuti da quando è stato deposto Bashir.

Russia e Cina per i loro interessi nella regione hanno bloccato una risoluzione dell’Onu per intervenire nel paese africano. Invece il Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione africana ha sospeso la partecipazione del Sudan a tutte le sue attività. Il provvedimento è stato preso “con effetto immediato fino all’effettiva istituzione di un’autorità di transizione guidata da civili, che rappresenta l’unico modo per consentire al Sudan di uscire dall’attuale crisi”. I giovani sono pronti a proseguire la lotta per conseguire quel cambiamento avviato ormai con la fine del regime e che rischia di essere soffocato dalla potenza delle armi e dei capitali investiti dall’estero per assicurare la conferma del controllo coloniale del paese nella collocazione geostrategica voluta da Bashir.

Ne abbiamo parlato con Raffaele Masto, africanista e redattore di “AfricaRivista”:

Congiuntura nevralgica per l’evoluzione sudanese


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