Sicilia. Piccoli schiavi
Scritto dainfosu 4 Marzo 2015
La notizia è uscita ieri sul “Manifesto”. Un video girato dalla Cgil e dalla Flai di Catania mostra bambini tra i 10 e i 14 anni che lavorano come raccoglitori. Il documentario è stato realizzato nelle campagne del catanese, dove ci sono anche bambini più piccoli e persino neonati. I braccianti li portano con loro per non lasciarli a casa da soli. Molti di loro non vanno quindi a scuola, quelli molto piccoli vengono adagiati dentro le “gabbiette”, le cassettine bucate per la frutta, e lì restano tutta la giornata mentre i genitori fanno la raccolta.
Bambini e ragazzi sono arrivati in Sicilia con i barconi: finiscono nei CARA o clandestini senza documenti nascosti in campagna dove offrono lavoro per poco o nulla.
I caporali li raccolgono sulle piazzole, li portano nei campi e si prendono parte del salario.
Fanno 12 ore al giorno per paghe che vanno dai 20 ai 30 euro totali, da cui si deve sottrarre la percentuale da destinare ai caporali. In genere si va dai 5 ai 15 euro». Il lavoro nero in Sicilia è in costante crescita. Sulle 11 mila aziende agricole della regione l’Inps ne ha ispezionate 270 nel 2014, e ha scoperto 570 lavoratori completamente in nero. Il rapporto è di un bracciante sommerso ogni 3. Nel registro anagrafico di Paternò sono iscritti soltanto sette cittadini marocchini, mentre gli autori del video ne hanno trovati 43 accampati dentro la Falconieri, una scuola abbandonata e diroccata: vivono lì senza acqua né luce.
Il drastico abbassamento del costo del lavoro favorisce le grandi imprese e porta al fallimento i piccoli agricoltori, che svendono le terre e prendono la via dell’immigrazione verso la Germania e il Belgio.
In Sicilia le politiche sull’immigrazione, il trattamento dei rifugiati, la politica dei CARA, il caporalato e il lavoro servile disegnano un puzzle, dove la messa al lavoro in condizioni simili alla schiavitù, senza tuttavia l’obbligo di alloggiare e mantenere il bracciante quando non serve, è la posta in gioco di un capitalismo sempre più feroce.
Se a questo si aggiunge il ruolo di piattaforma logistica sul Mediterraneo che la Sicilia ha gradualmente assunto il quadro è completo. La Sicilia ha fatto da piattaforma avanzata per le operazioni nei Balcani negli anni ‘90, per le guerre globali dopo l’11 settembre 2001, per le recenti crociate contro le migrazioni nel Mediterraneo.
Infine è stata la volta del MUOS di Niscemi, della base di Sigonella promossa da Washington e Bruxelles a capitale mondiale dei droni e del dislocamento, sempre a Sigonella della neocostituita forza di pronto intervento del Corpo dei marines, sempre più impegnata nei blitz e in operazioni sporche top secret in Nord Africa e Somalia. Un’escalation senza fine del processo di militarizzazione che ha avuto effetti devastanti per la società, l’economia e la politica siciliana e già nei prossimi mesi potrà avere altri e più pericolosi effetti nel vissuto di tutti i siciliani.
Mare Nostrum, un programma di stampo neocoloniale sin dalla scelta del nome, viene narrata come operazione umanitaria, di salvataggio di migranti e profughi in difficoltà. In realtà per il soccorso non occorre la marina militare, che invece ha tentato di impedire la partenza dei migranti, impiegando droni che sono penetrati sin nell’entroterra libico. L’instabilità della Libia, dopo la guerra del 2011, ha decretato il fallimento dell’operazione, che potrebbe presto essere riprodotta in veste più nettamente bellica.
Ne abbiamo parlato con Antonio Mazzeo, attivista No Muos, molto attento alle dinamiche dell’immigrazione.
Ascolta la diretta: