Sorveglianza speciale per una volontaria in Rojava. Un anno fa cadeva Orso

Scritto dasu 17 Marzo 2020

È passato un anno dalla morte di Orso, caduto combattendo, pochi giorni prima della caduta dello Stato islamico.
Lorenzo Orsetti, nome di battaglia Tekoser, è stato ucciso in un’imboscata durante la battaglia di Teghuz. Sarebbe presto tornato in Italia, ma ha voluto esserci per affrontare quest’ultima roccaforte dell’ISIS. Teghuz è circondata, molti si erano arresi ma un nucleo di circa 1500 soldati dello Stato Islamico aveva deciso di combattere sino alla fine. Lorenzo era uno dei tanti volontari accorsi in Siria per difendere il confederalismo democratico in Rojava e per combattere l’Isis. “Ciao, se state leggendo questo messaggio è segno che non sono più a questo mondo. Beh non rattristatevi più di tanto, mi sta bene così; non ho rimpianti, sono morto facendo quello che ritenevo più giusto, difendendo i più deboli e rimanendo fedele ai miei ideali di giustizia, uguaglianza e libertà”, si legge nella lettera che ha lasciato.
Lorenzo era anarchico e combatteva in un battaglione di anarchici. Dopo la sua morte venne onorato da tutti, persino da quelli che, se Lorenzo fosse tornato vivo dalla Siria, lo avrebbero trattato da delinquente.
Come è accaduto a diversi volontari italiani al loro ritorno dal Rojava.
Un anno fa la Procura di Torino richiese la sorveglianza speciale per cinque volontari torinesi, considerati socialmente pericolosi, per aver appreso l’uso delle armi. Gli anarchici qualche volta diventano eroi ma solo da morti, quando l’ultimo sfregio che si può fare loro è annebbiarne la memoria falsificandola. In questo, i macellai dello Stato Islamico, che gli hanno imposto l’etichetta di “crociato” e i politici italiani, che mettono la sordina sulla sua storia e lo usano per le loro crociate, sono fatti della stessa pasta.
Due dei cinque volontari partiti da Torino per la Siria del nord sono stati prosciolti mesi fa, la sentenza per gli altri tre era attesa ieri, ma pareva fosse rimandata a data da destinarsi per le chiusure dei tribunali decretate dal presidente del consiglio per l’epidemia di Covid 19.
Così non è stato. Oggi, dopo questa intervista in cui pareva che tutto fosse rimandato, la Procura Torinese ha giocato la sua carta, prosciogliendo Paolo e Jacopo e comminando due anni di sorveglianza alla terza volontaria, Eddi. 

Oggi anche il Rojava è stato raggiunto dall’epidemia. In una regione che è ancora in guerra, perché dopo la vittoria sull’Isis, prima la Russia, poi gli Stati Uniti, hanno mollato alleati preziosi sul campo, ma sacrificabili nel grande gioco di potenze.
L’unica città dove ci sia un laboratorio analisi per i tamponi è Serekanije, oggi occupata dai turchi. Il mixer tra guerra ed epidemia potrebbe essere micidiale.

Ce ne ha parlato Paolo Pachino, uno dei tre volontari per cui era stata richiesta la sorveglianza speciale

Ascolta la diretta:

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Nota. Subito dopo l’intervista con Blackout, Paolo è stato fermato dai carabinieri e, nonostante avesse documenti che attestavano le ragioni del suo spostamento, è stato portato in caserma, denudato, perquisito, mentre altri solerti tutori dell’ordine gli smontavano l’auto. È stato rilasciato senza alcun addebito. Peccato che siano mesi che i carabinieri del suo paese lo tengono sotto pressione, sperando di poterne fare bottino.


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