Rotta Balcanica. Il gioco dell’oca

Scritto dasu 19 Gennaio 2021

Lungo la rotta balcanica i migranti devono superare vari confini, prima di entrare nell’Area Schengen dove, almeno formalmente, vige la “libera circolazione”. Tale area è delimitata dal confine che separa la Slovenia dalla Croazia, ma ormai da anni l’Unione Europea ha delegato alla Croazia il “lavoro sporco” di fermare le persone che tentano di entrare nella UE, respingendole in Bosnia e in Serbia.
Come documentato nelle 1500 testimonianze raccolte fin dal 2018 dalla rete borderviolence.eu e pubblicate in “black book of push backs I e II”, le persone vengono fermate, picchiate e torturate dalla Polizia croata e da Frontex prima di essere cacciate oltre confine, scalze, semisvestite e senza cellulari.
Per chi migra superare il confine sud della Croazia non significa essere finalmente al sicuro: da due anni la Slovenia, quando rintraccia queste persone, le consegna in poco tempo alla polizia croata che a sua volta le deporta al confine.
Da maggio di quest’anno si è inserita in questo meccanismo anche l’Italia: ciò che qui chiamano “riammissioni informali in Slovenia” non sono altro che il primo anello di questa catena. Tra gennaio e metà novembre 2020, la polizia di frontiera di Trieste e Gorizia ha “riammesso” 1240 persone (+420% rispetto al 2019).
In Bosnia, destinazione ultima di queste “riammissioni”, da alcuni anni si è creato un collo di bottiglia. Vi si trovano persone soprattutto giovanissime, che solitamente sono in viaggio da anni e non hanno alcun interesse a fermarsi in Italia ma vorrebbero arrivare nei Paesi del nord. Quando arrivano a Trieste, stremate dai 15-20 giorni di fughe, cammino e stenti, ricevono una cura informale in piazza Libertà (di fronte alla stazione) dalle attiviste dei gruppi Linea d’Ombra e Strada si.Cura.
I respingimenti sono contrari alle leggi sull’immigrazione dell’UE e nonostante questa ne neghi pubblicamente l’esistenza li finanzia in vario modo.
Di recente la Germania ha regalato alla Croazia sensori per il rilevamento delle persone da piazzare lungo i propri confini.
Il 23 dicembre il campo di Lipa, vicino a Bihać, al confine nordoccidentale della Bosnia Erzegovina, è andato a fuoco. Da allora, i giornali italiani hanno dato ampio spazio alla crisi umanitaria in Bosnia, che da anni veniva inutilmente denunciata dagli attivisti al di qua e al di là del confine.
La “crisi umanitaria” descritta dalla stampa italiana è una situazione di violenza sistemica, che va ben al di là del freddo intollerabile di questi giorni al confine bosniaco ma si estende alla gestione da parte dell’Oim (l’ente Europeo gestore dei campi) dei grandi campi bosniaci a Sarajevo e in altre località, alle violenze sistematiche della polizia croata, alla catena dei respingimenti che arriva fino a Trieste, al razzismo fuori e dentro i confini dell’Unione Europea.

Trieste è una città di confine, alcuni la chiamano “Lampedusa del nord”. Trieste è infatti la porta d’entrata della rotta dei Balcani, come Lampedusa è la porta d’entrata della Rotta del Mediterraneo centrale. A Trieste si arriva a piedi, a Lampedusa in nave o in gommone.
La dirigenza della questura di Trieste dal 30 dicembre è passata nelle mani di Irene Tittioni, esperta di pattugliamenti congiunti dei confini interessati da migrazioni.
Questa scelta la dice lunga sui programmi del governo al confine orientale. Lo Stato “gestisce” i “clandestini” resi tali dalle leggi che non forniscono visti, che permettono di entrare in Italia solo attraverso una migrazione pericolosa e chiedendo l’asilo politico, che respingono la maggior parte delle richieste d’asilo. Lo stesso Stato che sostiene, anche se li nega, i respingimenti violenti e illegali.

A Trieste l’8 gennaio davanti al Consolato croato di piazza Goldoni si è tenuto un partecipato presidio per denunciare pubblicamente le sanguinarie politiche europee di “protezione dei confini”.

Ne abbiamo parlato con Raffaele dell’assemblea No CPR no frontiere del Friuli e della Venezia Giulia. Raffaele ha anche ricordato, Vakhtang Enukidze, ammazzato di botte dalla polizia un anno fa, il 18 gennaio del 2021.

Ascolta la diretta con Raffaele:

 


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